(Adnkronos) – Covid, influenza ed emergenze varie. A dicembre le chiamate al 118 sono aumentate del 15% rispetto a novembre. Il boom c’è stato soprattutto a Natale: dal 23 al 26 dicembre le richieste di soccorso sono cresciute del 40%, con punte di +80% in alcune aree del Paese. Lo riferisce all’Adnkronos Salute Mario Balzanelli, presidente della Sis 118. L’aumento registrato questo mese rispetto al precedente, spiega, “è comunque inferiore al 2022, quando a dicembre le chiamate al 118 erano aumentate del 19% rispetto a novembre. L’anno scorso c’era una maggiore prevalenza di forme cliniche di Covid più impegnative”. In ogni caso, in questo mese, “si è registrato un +55% di interventi per le sole patologie respiratorie”.
Per i mezzi e gli operatori del 118, dicembre è stato un mese di super lavoro, destinato ad aumentare in questi ultimi giorni del 2023. Nella notte di Capodanno, sottolinea, “è previsto un necessario rinforzo dei sistemi 118, per fronteggiare l’aumento delle richieste di soccorso per incidenti stradali e da petardi e botti”. Ma nonostante un maggior dispiego di mezzi “il problema del sovraffollamento dei pronto soccorso, prossimi in alcune situazioni limite alla paralisi gestionale, rischia di compromettere notevolmente la piena funzionalità del sistema dell’emergenza”, avverte il presidente della Sis 118.
In queste settimane i pronto soccorso scoppiano e fuori si rivedono le file di ambulanze, con a bordo i pazienti in attesa di essere assistiti e curati. “Questo determina il blocco della flotta di mezzi operativi, che arrivano in ospedale, si mettono in fila indiana e lì restano per un tempo indefinito, sottratto alla gestione di altre emergenze. Con il passare delle ore i sistemi 118 si ritrovano progressivamente con un numero di ambulanze via via inferiore, è un circolo vizioso che non può essere consentito”.
In troppi casi, evidenzia, “i pronto soccorso si riempiono, fino a trasformarsi in una barellopoli impressionante, per situazioni cliniche che non richiedono nessun contesto gestionale di emergenza o di urgenza, cioè non c’è un imminente pericolo di vita, o un potenziale pericolo in breve tempo”.
Per Balzanelli, “il dato fondamentale su cui riflettere è l’enorme volume di inappropriatezza di accessi al pronto soccorso da parte di persone con problemi e disturbi che loro percepiscono come acuti e urgenti, ma che non hanno nulla a che vedere con l’emergenza e che devono essere gestiti altrove. Il problema non è ampliare i pronto soccorso, ma dare a questa massa di pazienti luoghi dove le acuzie minori possono essere gestite al meglio, senza ingolfare e paralizzare i dipartimenti di emergenza-urgenza. In attesa che si definisca a livello nazionale l’impianto organizzativo previsto dalla nuova riforma del territorio, la soluzione è soltanto una: riattivare i Punti di primo intervento del 118, e potenziarli dove ci sono ancora, come in Puglia”.
“E’ stata una clamorosa svista del Dm70 prevederne la chiusura – contesta Balzanelli – si tratta di postazioni fisse, con medici e infermieri del 118 che sono in grado di filtrare con efficacia il 97% dei pazienti che vi arrivano, garantendo una valutazione medico-infermieristica e terapie immediate, senza lunghe attese. Per loro il problema si risolve e vengono rimandati a casa, solo il 3% finisce in ospedale per il ricovero. Se poi questi Punti si trovano in presidi ospedalieri riconvertiti, o comunque negli ospedali stessi, possono fornire anche consulenza specialistica, indagini di laboratorio, esami di diagnostica per immagini mirati. Il punto di primo intervento del 118, altrimenti definito postazione fissa medicalizzata, è una struttura territoriale intermedia in grado di gestire dai codici verdi, la maggioranza, ai codici rossi. Se si vuole decongestionare di fatto i pronto soccorso, vanno ripristinati e potenziati”, rimarca. “Se si realizzassero le case di comunità, potrebbero rappresentare moduli funzionali per ospitare i nostri Punti di primo intervento”.