Migranti Ventimiglia, gli ‘invisibili’ che attendono il buio per passare il confine

(Adnkronos) – Un giovane, steso a terra, dorme sotto una coperta rossa a pois bianchi, poco più in là si intravvede un paio di scarpe blu lasciate lì da chissà chi, intorno, seduti a cerchio, altri giovani in attesa accanto ai loro pochi bagagli racchiusi per lo più in borse di plastica, altri ancora in coda per un bicchiere d’acqua, qualche vestito appeso alla cancellata che divide la strada dal greto del fiume. È l’immagine che balza agli occhi di chi si allontana per qualche centinaio di metri dal centro di Ventimiglia, lungo il fiume Roja, sotto al cavalcavia che porta all’autostrada per Genova. È li che, nonostante la pioggia che a tratti cade intensa, anche oggi, come tutti i giorni, si ritrovano i migranti che aspettano di oltrepassare la frontiere per andare in Francia.  

C’è qualcuno che è appena arrivato e attende la sera per fare il primo tentativo, qualcuno che invece ha provato più di una volta ma continua a tentare, magari per vie alternative o affidandosi a qualche passeur. Tutti chiedono di non essere fotografati e sono pochi quelli che hanno voglia di parlare, quelli che lo fanno, non conoscono l’italiano, e così si raccontano prendendo a prestito le parole un po’ dall’inglese e un po’ dal francese. Amid è poco più che ventenne, è arrivato ieri sera da Lampedusa e si guarda intorno smarrito nel pullover grigio troppo grande per lui. “Arrivo dal Sudan, nel mio paese c’è la guerra e la guerra è brutta”, dice. “Questa sera proverò a passare la frontiera – aggiunge – e se non ci riuscirò ci riproverò ancora”.  

Accanto a lui un altro giovane, pure sudanese. Ha un giubbotto pesante che stride con gli infradito ai piedi. Vorrebbe un paio di scarpe ma per cercarle deve ritornare al centro di accoglienza della Caritas. Per oggi, però, nulla, prima deve provare a ripassare la frontiera, dove è stato respinto soltanto ieri sera. Ha gli occhi che sorridono, nonostante tutto, Tlal , se davvero si chiama così. Si avvicina e racconta che in Sudan ha lasciato tutta la sua famiglia e che non ha neppure un cellulare per provare a chiamare. Ha 21 anni ed è uno studente, la sua meta ora è l’Inghilterra perché dice “ho più facilità con quella lingua”.  

Poco distante Youssef ha quasi paura a pronunciare il suo nome, riesce a dire che ha 23 anni ed è studente, poi stringe nelle spalle e si allontana. Per tutti si prepara una nuova giornata di attesa, nella speranza che il buio aiuti la loro traversata oltre confine che dista all’incirca sei chilometri. Molti proveranno a piedi, lungo i sentieri perché se non è la è la via più facile è certo quella in cui sperano di non imbattersi dei controlli, il treno a Mentone viene ispezionato da cima a fondo dalla gendarmeria francese e chi non è in regola viene riaccompagnato in Italia.  

E poi ci sono i passeur pronti a offrire i loro servizi, quasi sempre pagamento, secondo un tariffario non certo scritto ma che non sfugge al passa parola, che va da 50 euro, così si dice, per l’indicazione del sentiero da prendere, fino a 250-300 euro se si sceglie un mezzo di trasporto.