“Dietro la mia condanna ci sono ombre poco chiare. Un magistrato molto importante, un politico di razza, hanno dall’inizio cercato di offuscare la mia immagine, il mio impegno verso gli immigrati, i più deboli”. Così’ l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano in un’intervista al Corriere della Sera commenta la condanna a 13 anni e 2 mesi nel processo ‘Xenia’. “Mi aspettavo un’assoluzione piena. Io non mi sono mai lasciato intimidire da nessuno. Per ora hanno vinto loro, ma siamo solo al primo grado. Ci sarà l’appello” sottolinea.
“Già dall’inizio la mia popolarità, mai cercata, li ha infastiditi. Hanno voluto (e vogliono) che si parlasse solo di loro, delle loro attività, dei loro libri, delle loro inchieste. Io non ho avuto la notorietà perché me la sono cercata. Il mio impegno, il mio modo di aiutare il prossimo, sono stati gli argomenti che mi hanno reso popolare – aggiunge – A loro dava fastidio che i media, la politica, s’interessassero di quello che io facevo. Invidia pura. Diventata probabilmente anche rabbia quando la rivista Fortune mi ha assegnato quel riconoscimento e, soprattutto, quando la Rai ha voluto realizzare la fiction su Riace con Beppe Fiorello protagonista. Lì è scattato qualcosa che è alla base delle mie sventure giudiziarie”.
“Dico solo che il giudice delle indagini preliminari aveva bollato questa inchiesta come un “acritico recepimento delle prove”, non “integranti alcuno degli illeciti penali contestati in alcuni capi d’imputazione”. La Cassazione ha rinviato gli atti al Tribunale della Libertà, annullando il mio esilio. Eppure, oggi subisco questa sentenza senza precedenti – prosegue Lucano – In effetti è stata una condanna senza precedenti. Sono arrabbiato e deluso per un verdetto che ritengo ingiusto sotto ogni profilo. Quello che più mi fa rabbia, però, è che è stata attaccata la mia moralità. Io sono un uomo specchiato e onesto, non ho neanche i soldi per pagare i miei avvocati – conclude – Rifarei tutto. Anche il tentativo di prolungamento dell’asilo politico per la giovane immigrata Becky Moses, trasferita a forza da Riace e morta bruciata nella tendopoli di Rosarno, qualche mese dopo. Uno dei reati che mi hanno contestato è stato proprio questo, aver tentato di trattenere la giovane a Riace”.