Scoraggiati dall’evidenza, ma incoraggiati dalle prospettive che si affastellano al di fuori dei nostri confini, sono i laureati, i giovani e con levati livelli di istruzione a fare la valigia senza guardarsi più indietro.
Manco a dirlo, per ovvie ragioni, la maggior parte sono del Sud. In questi ultimi 20 anni oltre 2mila residenti hanno salutato il Mezzogiorno, un quinto di loro laureati, e la metà composta da giovani fino a 34 anni.
I numeri del flusso migratorio giovanile relativo al nostro Paese è impressionante, sempre nel Mezzogiorno (di suo già ‘inguaiato’ dal calo delle nascite), si registrano infatti i numeri più elevati, tenendo conto che nella fascia fino ai 14 anni se ne sono andati in più di mille – evidentemente con le loro famiglie –
E’ quanto rivela l’impietosa fotografia scattata dal Rapporto Svimez 2019 che, nel corso della presentazione (svoltasi stamane a Roma), ha posto l’accento sugli impressionanti numeri che caratterizzano l’emigrazione, con 50mila residenti in fuga dal Centro-Nord, e 22mila dal Sud. Basti pensare che qui persino l’agricoltura, un tempo settore privilegiato del Sud, continua a crollare a vantaggio del terziario (ma con modestia, intendiamoci), e con l’industria che ‘zoppica’ sempre più vistosamente.
Purtroppo è la situazione in generale che va mettendosi seriamente male. Se per anni il compromesso era il pendolarismo – generalmente dal Sud verso il Nord – muovendo quasi 300mila persone – ora, paradossalmente, a ‘peggiorare’ la situazione, il reddito di Cittadinanza che di fatto ha ‘affossato’ ogni velleità occupazionale, inchiodando al palo migliaia di giovani. Tanto è che ad oggi, delle ventilate ‘opportunità’ derivanti dal RdC ancora non se ne vede traccia. Ecco perché, inesorabilmente, va allargandosi sempre più i divario tra Nord e Sud, in 10 anni passato dal 19,6% al 21,6%.
In altre parole, ora come ora al Sud per ‘raggiungere’ il Centro-Nord occorrerebbero almeno 3 milioni di posti di lavoro!
Dal canto suo il Nord Italia, un tempo definito ‘la locomotive d’Europa’, giace inerme alla stregua di un vecchio treno a vapore. Come evidenzia infatti il Rapporto, oggi molte regioni italiane definite ‘ricche’, presentano un Pil addirittura inferiore rispetto a diverse regioni di Paesi dell’Est entrati da poco nella Ue.
Ci troviamo quindi davanti ad una grave stagnazione economica, a sua volta vittima di consumi approssimativi, e di scarsi investimenti, soprattutto pubblici. Nello specifico, i settori maggiormente interessati da questo ‘deserto’, eccezion fatta per il settore edile (+5,3%), macchinari ed attrezzature sono pressoché fermi (con appena un +0,1%), rispetto al Centro-Nord (dove segna un +4,8).
Max