(Adnkronos) –
Nella percezione dei clinici, l’89% dei pazienti che hanno ricevuto una diagnosi di melanoma assume in modo adeguato le terapie ed è quindi aderente alle cure. Invece, secondo i pazienti, il valore scende al 50%, come registra un’indagine Doxa, che si è conclusa a luglio 2022, i cui dati sono riportati in un articolo pubblicato su ‘Alleati per la Salute’ (www.alleatiperlasalute.it), portale dedicato all’informazione medico-scientifica realizzato da Novartis. L’indagine ha interessato medici e pazienti coinvolti nel percorso di cura del principale tumore della pelle, per il quale sono disponibili terapie orali che il paziente può assumere a casa sia come terapia adiuvante – cioè dopo la rimozione chirurgica del melanoma, per migliorare la prognosi e ridurre il rischio di metastasi – sia in fase metastatica, in cui il tumore cronicizza.
I medici identificano, a livello generale, tra i principali motivi della non aderenza: effetti collaterali; livello di comprensione; età e fattori socio-demografici; relazione medico-paziente; schema di assunzione della terapia; metabolizzazione della malattia nel tempo. Le ragioni della non aderenza, per i clinici, sono indicate come la percezione di essere guariti (15% in setting adiuvante, 0% in fase metastatica) e la sottovalutazione dei rischi e dell’importanza della terapia (rispettivamente 18% e 1%), quindi fattori che riguardano il tipo di comprensione della malattia. Nei pazienti che devono affrontare la comparsa di metastasi si manifestano spesso sfiducia nell’efficacia delle terapie e depressione, presenti nel 15% dei casi, contro il 5% di coloro che sono in setting adiuvante.
In generale, secondo l’indagine, i clinici tendono a sottovalutare la non aderenza, anche perché il melanoma interessa nella maggior parte dei pazienti abbastanza giovani, considerati informati e con un buon livello di comprensione dell’importanza dei trattamenti. Inoltre, i clinici ritengono che i pazienti siano spaventati dalla malattia e che per questo motivo siano spinti a seguire in maniera precisa le indicazioni terapeutiche. Con l’aumento delle terapie orali, però, si assiste a una maggiore attenzione al pericolo della non aderenza, dato che è attribuita più autonomia ai pazienti nella gestione del trattamento.
I medici riportano che la diagnosi di melanoma genera inizialmente nel paziente una reazione di rabbia, anche per le caratteristiche subdole della malattia, che sfocia poi in paura nei confronti delle terapie, tra difficoltà di comprensione e timore degli effetti collaterali. In molti casi, questa patologia provoca un forte impatto sulla qualità di vita in diversi ambiti, come in quello psicologico, perché bisogna iniziare a pensarsi come persona malata ‘cronica’, e in quello fisico, a causa della stanchezza e delle altre conseguenze dei trattamenti. Anche la vita familiare, di relazione e lavorativa ne risente, tra le preoccupazioni per il futuro, gli effetti collaterali invalidanti, la scomodità di assunzione delle terapie e la necessità di fare assenze dal lavoro.
Sul versante dei pazienti, a differenza di quanto ritenuto dai clinici, i soggetti con melanoma a elevata aderenza terapeutica si assestano solo al 37%, mentre il 50% si limita a una media aderenza, per arrivare a un 13% di bassa aderenza. Considerando la questione più nel dettaglio, il 12% degli intervistati sostiene che le ragioni siano dovute alla scarsa consapevolezza della gravità e dei rischi connessi alla malattia e alla paura degli effetti collaterali delle medicine: nell’8% dei casi viene additata la mancanza di informazioni e, nel 6%, il rapporto medico-paziente.
Riguardo a quest’ultimo aspetto, un elemento sottolineato è il tempo che viene dedicato alla visita, ad ascoltare il paziente e a fornire tutte i chiarimenti necessari per capire cosa implichi veramente soffrire di melanoma, quale sia il valore delle cure e come portarle avanti al meglio. Quando il tempo non è giudicato sufficiente, diventa difficile creare una reale alleanza fra medico e paziente e impostare una relazione empatica e proficua. Soprattutto in caso di recidiva, se il paziente non si sente adeguatamente supportato, anche a causa del susseguirsi di diversi medici durante il percorso terapeutico, è facile che si faccia prendere dallo sconforto e perda fiducia nelle cure.
Per favorire l’aderenza terapeutica emerge, da parte dei clinici, la necessità di una corretta e chiara comunicazione (19%) e di una migliore relazione con i pazienti (11%). Vengono anche indicati comportamenti concreti da adottare, come una maggiore frequenza dei colloqui con i pazienti, anche tramite contatti periodici via telefono ed email, e l’impegno a dedicare loro più tempo. I medici e, in maniera ancora più rilevante, i pazienti assegnano all’infermiere un ruolo fondamentale di supporto e riconoscono in lui un’importante figura di raccordo con la struttura presso cui si effettuano le cure. A seguire, sono poi indicati psicologi, associazioni di pazienti e aziende farmaceutiche.
L’esigenza di una buona comunicazione – che deve includere i benefici connessi alla terapia, gli effetti collaterali e i rischi determinati dal non assumerla – è ribadita dal 33% dei pazienti. Inoltre, il 15% reclama la necessità di avere continuità con le figure mediche che li assistono, sia per quanto riguarda i medici che gli infermieri. Anche una comunicazione attiva e la piena fiducia nel proprio dottore sono elementi ritenuti essenziali in ottica di un miglioramento del percorso terapeutico.
L’indicazione principale dell’indagine riguarda proprio la necessità di sopperire alle attuali mancanze in ambito di dialogo e di empatia per arrivare a costruire una profonda alleanza fra medico e paziente, che rappresenta il vero pilastro dell’aderenza terapeutica. L’articolo completo ‘Melanoma: l’aderenza alla terapia si gioca tra medico e paziente’ è disponibile su alleatiperlasalute.it.