La maxi rapina, che aveva fruttato circa 100 mila euro, era servita proprio per finanziare la latitanza del boss. Un indizio in questo senso era stato già fornito qualche settimana fa da uno dei componenti della banda che assaltò il deposito, Benito Morsicato. L’uomo, che ha iniziato a collaborare con i magistrati di Palermo, aveva raccontato che “durante i sopralluoghi ci venne detto che per la rapina bisognava aspettare perché in una villa della zona si nascondeva una persona, lo zio chiamavano. Lo zio di Bellomo”. Che altri non è che Messina Denaro.
Le indagini hanno anche documentato un accordo tra le famiglie mafiose di Bagheria, Castelvetrano e Corso dei Mille. Un asse Trapani-Palermo finalizzato a rimpinguare le casse di Cosa nostra. La rapina, realizzata da esponenti della famiglia di Bagheria, fu autorizzata dal clan di Castelvetrano, competente per territorio nella zona di Campobello di Mazara. I locali dell’Ag trasporti, un tempo dei boss di Palermo, erano stati sequestrati.
“L’indagine su questa rapina ci ha consentito di cogliere nuove importanti dinamiche all’interno dell’organizzazione mafiosa. Sapevamo degli storici rapporti fra Bagheria e Castelvetrano, mediati dalla famiglia Guttadauro, imparentata con i Messina Denaro. Adesso, sappiamo che questi rapporti perdurano e sono solidi, mediati da quel Francesco Guttadauro che è il nipote prediletto del latitante”, ha spiegato il procuratore aggiunto Teresa Principato, che ha coordinato l’inchiesta.
Gli arrestati sono indagati per rapina e ricettazione aggravate dalle finalità mafiose.
Federica Manetto