Le distinzioni introdotte dall’articolo 1 del Ddl Zan riflettono realmente la natura umana, o costituiscono soltanto il tentativo di categorizzare giuridicamente, fino ad arrivare al caso limite dei ‘non binary’, un’ideologia solo socialmente determinata? “Non sarebbe la prima volta che in seguito a una scelta esclusivamente politica, priva di rilievo scientifico, si introducono nel campo del diritto norme che non riflettono la realtà naturale, bensì quella artificiale”. A rispondere all’Adnkronos è Alfredo Mantovano, consigliere alla Corte di Cassazione e curatore del libro ‘Legge omofobia. Perché non va’ sulla proposta Zan esaminata articolo per articolo.
Secondo Mantovano, “o è evidente che le distinzioni di sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere sono pre-esistenti al diritto, tanto da meritare riconoscimento e addirittura tutela dalla sanzione penale, e allora però non necessitano di una apposita definizione ex lege; oppure quelle nozioni, poiché hanno bisogno di una esplicita costituzione legale, non esistono in natura e non pre-esistono al diritto, e quindi non possono essere artificiosamente introdotte dalla legge, al fine di creare una base fittizia su cui edificare una nuova – o estendere una precedente – fattispecie penale”.
La nozione di ‘identità di genere’ contenuta nell’articolo 1 “completerebbe il processo di evaporazione dell’identità sessuata tramite una categoria eterea e volatile: non una dimensione oggettivamente saggiabile, bensì meramente percepita, pur senza aver concluso un percorso di transizione ai sensi della legge sul transessualismo. In questo scenario – rileva il magistrato – non è chiaro come si possa conoscere, da parte di soggetti esterni che non intendano incorrere in atti illeciti discriminatori, quale sia la reale ‘identità di genere’ di un soggetto che non ha effettuato o concluso il percorso di transizione, avendone una soltanto ‘interiorizzata’. Non è chiaro se all’interno di tale definizione debbano ricomprendersi, per esempio gli eventuali minori pre-puberi con disforia di genere”.
Perché nasce l’articolo 1? “Al momento del passaggio del ddl dalla Commissione Giustizia all’Aula della Camera, la Commissione Affari costituzionali aveva posto quale condizione, fra le altre, la necessità di ‘chiarire maggiormente i confini tra le condotte discriminatorie fondate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, al fine di evitare incertezze in sede applicativa’. Parere analogo era venuto dal Comitato per la Legislazione”, racconta Mantovano.
“L’evidente ragione – commenta – è che il sistema penalistico si basa sul principio di legalità previsto nell’articolo 25 della Costituzione, il cui senso è che l’oggetto della norma penale deve essere stabilito da una legge precisa e determinata. Questo spiega perché l’Aula della Camera abbia introdotto nel ddl Zan, all’art. 1, le definizioni delle nuove categorie di sesso ecc., introdotto dall’Aula della Camera: la lettura di esse fa però constatare quanto sia elevata la distanza fra le intenzioni dei proponenti di ricondurre il testo a precisione e la realtà; i concetti utilizzati per delimitare la fattispecie incriminatrice continuano a essere vaghi e indeterminati”.
Secondo l’articolo 1 del ddl Zan: “per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico; per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”. (di Roberta Lanzara)