(Adnkronos) – Un passo avanti e due indietro, in una rincorsa senza fine ad aggiustamenti della Manovra 2024, limature e modifiche che consentano di mettere d’accordo tutti e non incrinare quell’immagine di “compattezza” che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni vuole dare al suo governo. Da Bruxelles, in un punto stampa organizzato prima che la presidente del Consiglio lasci la sede del Consiglio europeo, puntella la legge di bilancio, smentendo con foga ricostruzioni che raccontano di fratture, sfuriate, incomprensioni.
“Non ho problemi né con Salvini, né con Tajani, né con Mediaset. I rapporti del governo con Mediaset sono quelli che si hanno con una grande azienda”. Lo stesso vale per la presidente del Biscione: “Ho letto delle ricostruzioni secondo cui non sarei soddisfatta di quello che Marina Berlusconi avrebbe detto di me. Una cosa è raccontare se ci sono problemi, altra cosa è crearli”, ‘bacchetta’ la stampa. Smentisce con durezza un cronista di Repubblica, il battibecco tra i due sotto gli occhi delle telecamere: “Nessuna sfuriata con Salvini”. Intanto, poco prima, dal Mef arriva la comunicazione che la manovra è arrivata a Palazzo Chigi, “non sono lì – conferma la premier – ma direi che presto sarà in Parlamento, siamo in dirittura d’arrivo”.
Anche sui tempi, però, nella giornata si consuma un piccolo ‘cortocircuito’. A tagliare per primo il traguardo dell’annuncio ad effetto è, ancora una volta, Matteo Salvini: “Sono giornate complicate. Proprio tra stanotte e stamattina abbiamo chiuso la legge di bilancio”, dice.
Peccato che solo un’ora dopo l’altro vicepremier, Antonio Tajani, puntualizzi via X che la manovra no, non è ancora chiusa, salvo correggere il tiro qualche ora dopo annunciando che il testo sarà in Parlamento tra lunedì e martedì. Intanto le opposizioni salgono sulle barricate: per Maria Elena Boschi il governo “è una maionese impazzita”, Giuseppe Conte torna ad attaccare quella che ormai etichetta puntualmente come ‘lady tax’, Carlo Calenda punge sulle pensioni e quota 104, che, stando ai rumors interni al governo, tornerà nelle prossime ore a segnare 103.
Che la coperta sia corta è cosa nota, altrettanto note le elezioni europee all’orizzonte: anche per questo il tentativo di approdare a un testo ‘blindato’ appare a tratti una mission impossible. In cui Meloni, però, dimostra di continuare a credere: “Io penso che sia una buona idea dimostrare che l’elemento che qualifica la capacità di una maggioranza e di un governo di fare il proprio lavoro è la tempistica delle decisioni”. Dunque “se” sulla manovra “diamo un segnale che lavoriamo velocemente e compatti, a livello di maggioranza, facciamo una cosa bella e interessante”, esorta i suoi.
L’auspicio di evitare emendamenti -espresso il giorno del via libera in Cdm, lo scorso 16 ottobre- raccoglie i primi distinguo sul campo. “Gli emendamenti saranno presentati: non c’è nulla di male, non si tratta di sabotare la manovra”, mette le mani avanti l’azzurro Giorgio Mulé. Intanto cresce l’attesa per il testo definitivo, mentre Meloni torna a chiedere di diffidare delle bozze messe in giro. Soffermandosi, naturalmente, sul caso del prelievo dai conti correnti: misura presente sin dalle prime bozze, ieri ha registrato il secco altolà di Meloni, con fonti di governo a chiarire che sarebbe stata lei a chiedere venisse sbianchettarla dal testo.
Tornando su tormentone che ha tenuto banco negli ultimi giorni, Meloni si toglie un sassolino dalla scarpa: “è già previsto che l’Agenzia delle Entrate possa pignorare i conti correnti, l’ha fatto il precedente governo”, puntualizza. Poi mette in chiaro: “nella legge di bilancio non è stata prevista alcuna norma che prevede di poter prelevare direttamente dai conti correnti. Ho chiarito che, rispetto a una polemica che era diventata oggetto di dibattito, questa misura non è prevista. Non è all’ordine del giorno”, dice.
Ora c’è da vedere che ne sarà dell’aumento della cedolare secca sugli affitti, di quota 104 e degli altri capitoli che agitano maggioranza, opposizioni e sindacati. Ma ancor prima di attraversare la palude parlamentare con la manovra, il governo dovrà saltare un altro ostacolo: la ratifica del Mes, da decidere al più tardi a novembre. Oggi se ne è parlato all’Eurogruppo, ma l’Italia non è stata messa in mezzo, la premier, giocoforza, sul tema è rimasta silente. A margine dei lavori del summit, però, il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe è tornato a ribadire che continuerà a chiedere il disco verde di Roma.
Meloni, tuttavia, conferma ai cronisti di non aver cambiato idea riguardo al Meccanismo europeo di stabilità. “Io la penso allo stesso modo in cui la pensavo mesi fa – dice – penso che dobbiamo stare alla posizione che la maggioranza ha espresso. Continuo a ritenere che, indipendente da cosa si pensi sullo strumento in sé, non sia utile per nessuno porre la questione adesso”. “Quando abbiamo chiaro il quadro, faremo le valutazioni più pertinenti”, ha aggiunto, precisando che su un eventuale nuovo rinvio della discussione in Aula, si pronuncerà “il Parlamento, non sta a me deciderlo”.
Sugli altri temi in agenda del summit europeo -a margine del quale Meloni ha avuto anche un incontro con la numero 1 della Bce Christine Lagarde- la premier si dice “soddisfatta” delle conclusioni del Consiglio europeo sulla crisi in Medio Oriente, oggetto di un confronto “serio e maturo”; torna a ribadire l’importanza di “non abbassare la guardia” nel sostegno a Kiev; si sofferma sulla trattativa “non facile” sulla nuova governance europea, che, a suo dire, ha registrato “passi avanti anche grazie all’Italia”, e incassa “l’accordo di tutti sul fatto che nuove risorse” del bilancio pluriennale “devono essere destinate a questo capitolo”.
La premier si allontana dalla ‘lanterna’ dell’Europa Building a passo spedito, destinazione Roma, dove -nella ‘due giorni’ a Bruxelles- ha tenuto lo sguardo sempre vigile, gli occhi puntati sulla manovra. Un cronista urla un’ultima domanda richiamando il ‘caso Sgarbi’, lei si ferma e torna sui suoi passi: “obiettivamente non ho avuto modo di approfondire la vicenda – dice – so che il ministro Sangiuliano ha attivato l’Antitrust, aspettiamo le risposte dell’Antitrust e poi valuteremo nel merito”. La lente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato deciderà del futuro di governo del critico e sottosegretario alla Cultura: “Giorgia non ha dubbi – dice chi gli è vicino – se ha sbagliato davvero, Sgarbi è fuori. E anche con un certo sollievo…”.