(Adnkronos) – “Una maggioranza di governo è, volta a volta, un castello arroccato, un esercito accampato oppure una brulicante piazza di mercato. La maggioranza e il governo di Giorgia Meloni non fanno eccezione. La differenza, semmai, è quanta parte della compagine (e della sua guida) viene dedicata all’una cosa, o all’altra o all’altra ancora. E qui però può cominciare una difficoltà ancora più impegnativa della fatica elettorale.
E’ ovvio che l’esercito allude alle battaglie contro l’opposizione, il castello alla vita di corte della maggioranza e ai suoi non facili equilibri e la piazza al rapporto col paese nella sua infinita e multiforme varietà. Ed è ovvio che nessuno dei tre fronti può mai essere sguarnito. Eppure un buon governo dovrebbe riuscire a dedicare la gran parte delle sue energie alla piazza, cercando di non farsi imprigionare nel suo fortilizio e soprattutto evitando di proseguire la campagna elettorale oltre il tempo con spirito troppo pugnace. Impresa che al nuovo governo non sembra riuscita troppo bene, almeno fin qui.
La finanziaria appena vidimata a Palazzo Chigi e in attesa di approvazione parlamentare sembra correre lungo binari pressoché obbligati. Di soldi non ce ne sono mai quanto si vorrebbe, e quelli disponibili dovranno essere dedicati quasi tutti all’emergenza energetica. Peraltro la comunità internazionale sta col fiato sul collo del nuovo governo, e dunque impone quel di più di prudenza che scoraggia colpi di fantasia e voli pindarici.
D’altra parte i legami di corte sono quelli che sono. E se per ora Salvini fa finta di essere soddisfatto del poco che ha avuto, e Berlusconi a sua volta fa finta di non essere troppo contrariato di tutti i riguardi che non ha avuto, è ovvio che prima o poi il brontolio della coalizione si farà sentire. E così a quel punto alle difficoltà che Meloni incontra tra gli italiani che non l’hanno votata si aggiungerà il malumore di una parte non trascurabile della sua stessa coalizione.
Per questo il (la?) presidente del consiglio dovrebbe calibrare un po’ meglio i suoi rapporti con il resto del mondo. Evitare di irridere gli avversari, di spazientirsi con i giornalisti, di infierire sui ceti sociali che votano altrove. Non per spirito consociativo. Ma per prudenza politica. E magari anche per doverosa saggezza istituzionale.
Ora, sul reddito di cittadinanza il governo ha fatto le cose a metà. Evitando di affondare troppo duramente il colpo nel bel mezzo di una situazione più che critica. E annunciando però che intende modificare radicalmente il provvedimento di qui a qualche mese. Una sorta di via di mezzo che ha scontentato sia quelli che del reddito hanno fatto una bandiera che quelli che ne hanno fatto un bersaglio. Si vedrà in corso d’opera quale dei due gruppi avrà più ragioni per non essere soddisfatto.
Ma c’è un altro punto cruciale di questa finanziaria che avrebbe meritato qualche attenzione in più. Ed è il peso sempre più oneroso dell’inflazione, che a parità di fondi previsti impoverisce il nostro welfare, già uscito malconcio dalle prove difficili di tutti questi mesi. Ora, è fin troppo ovvio che la scarsità delle risorse non autorizza la generosità che pure sarebbe dovuta. Ma a maggior ragione sarebbe stato il caso di passare al setaccio tutta quella gran quantità di micro provvedimenti, bonus, mance, sussidi sparsi che governi di tutti i tipi e di tutti i colori hanno fatto piovere su una platea di beneficiari ormai inclini a una certa irriconoscenza. E magari cercare di giocare meglio di sponda con tutte quelle organizzazioni sociali ad ampio spettro che possono risultare alleate preziose in questo genere di contese.
Sarebbe consigliabile insomma che il governo riprendesse la vecchia strada della concertazione, cercando per quanto possibile di associare alle decisioni che dovrà prendere una platea più ampia di forze sociali. Strada che a Meloni appare desueta, probabilmente. E che invece le sarebbe tanto più utile in un passaggio difficile come quello che si troverà ad attraversare nei prossimi mesi”. (di Marco Follini)