(Adnkronos) – “La tragica alluvione di questi giorni dovrebbe indurre la classe politica a ragionare almeno un metro al di sopra della sua affannata quotidianità. Ragionare appunto sull’emergenza del clima, questione davvero epocale (e mondiale). E magari dedicare qualche ragionamento in più anche alla necessità di istituire un servizio civile che possa offrire una cornice più ampia alla generosità di tanti giovani che abbiamo visto impegnati in questi giorni a portare il loro soccorso. Tutte questioni che non meritano di affogare nel pantano delle piccole polemiche che neppure in questi giorni siamo riusciti a risparmiarci.
Ma forse c’è un argomento in più che meriterebbe a questo punto di essere rivisitato. E cioè quello di un migliore equilibrio tra Stato, regioni e comunità locali. Argomento che incrocia il travagliato cammino di quel progetto di autonomia differenziata che piace tanto al ministro Calderoli e ai leghisti e sembra piacere altrettanto poco al resto della maggioranza governativa -per non dire delle opposizioni.
Il fatto è che quando la natura devasta i territori occorrerebbe chiedersi quale sia il modo migliore di organizzarli, quei territori. Quanto essi debbano fare per conto loro e quanto debbano dipendere dal resto del paese. Quanto le politiche energetiche e ambientali appartengano alla dimensione locale e quanto alla dimensione nazionale. In una parola, quale sia il disegno che connette le nostre comunità facendone un paese, o nazione che dir si voglia.
Fin qui l’argomento è stato svolto da ciascuno secondo il proprio particolarissimo tornaconto elettorale. Così, il centrosinistra d’inizio secolo modificò il titolo quinto della Costituzione equiparando lo Stato e le autonomie nel vano tentativo di inseguire la Lega di Bossi sul suo stesso terreno. Il centrodestra si spinse oltre chiamando uno sfortunato referendum sulla “devolution”, parola d’ordine destinata a scomparire nel volgere di qualche mese. E ancora oggi assistiamo al rullo di tamburi dell’esercito di Salvini che reclama l’autonomia differenziata per onorare una antica promessa leghista; al controcanto del centrosinistra che vi si oppone con tutte le sue forze; al silenzio un po’ imbarazzato degli altri soci di maggioranza; e perfino al borbottio perplesso degli uffici di Palazzo Madama che fanno le pulci al progetto di Calderoli. Per non dire delle regioni in ordine sparso, da nord a sud.
Ma la vera questione non è il progetto in sé. E’ l’idea di noi. In altre parole, si tratta di decidere che paese intendiamo essere, e come pensiamo di articolarci tra il locale, il nazionale e il globale. Poiché è evidente che non possiamo sviluppare e tendere fino all’estremo tutti, ma proprio tutti, i poteri che debbono dare un senso a quella articolazione. Infatti, se continuano a crescere a dismisura i poteri di tutti non può che nascerne un sicuro disordine. Che è per l’appunto la situazione in cui ci stiamo venendo a trovare.
Ora, ha un senso puntare sullo Stato e confidare che il centralismo dispieghi ancora le sue risorse. Ha un senso puntare sulle regioni e affidare loro competenze più estese e denari da soppesare magari con qualche cura in più. Ha un senso ripristinare le province e dotarle dell’oneroso privilegio di venire elette dai cittadini -come accadeva una volta. E infine ha un senso scommettere sui comuni, su quella antica radice municipale che ha fatto dell’Italia un “paese di paesi” per così dire. Ma non ha senso illudersi che si possano fare tutte queste cose assieme, affastellandole disordinatamente una sull’altra con l’illusione che non ne nascano prima o poi costi insostenibili e confusioni ancora più inestricabili.
Non si tratta di giocare un territorio contro l’altro. Anche perché quando arriva la tragedia ci si rende poi conto che nessuno basta a se stesso, e che occorre far funzionare una collaborazione più generosa tra i diversi livelli decisionali. Ma appunto per questo sarebbe ora di cercare di mettere ordine tra le nostre priorità. E cogliere tutte le occasioni che la vita ci offre per dare un senso più coerente anche all’articolazione del nostro complicatissimo Stato.
(di Marco Follini)