(Adnkronos) – ‘Non solo Piazza Fontana’. Il titolo che viene dato al ‘Memoriale’, dell’ex 007 Gianadelio Maletti (in uscita per Mursia, 325 pp, a cura di Concetta Argiolas), prova a dare spazio alla lunga vita – raccontata in prima persona, riuscendo però ad evitare toni auto-celebrativi e difese d’ufficio smaccate – del generale italiano, che fu uomo chiave degli apparati segreti della prima repubblica, a capo del Sid, indicato come vicino a Andreotti, iscritto alla P2 (adesione sempre negata da lui), condannato in via definitiva per i depistaggi per la prima bomba che inaugura la ‘strategia della tensione’, quella di piazza Fontana, del 12 dicembre 1969 nel centro di Milano, presso la Banca nazionale dell’agricoltura. ‘Non solo piazza Fontana’, è anche il tentativo di fare chiarezza con i suoi pensieri, ormai ultra-novantenne e cittadino sudafricano, dando alle stampe le sue memorie con la paura di avere di fronte un lettore “mal disposto, crudemente critico” di chiunque “sospettato di conservare nel cassetto quella camicia nera mai indossata”. Timoroso di tornare nel ciclone della “maledizione di Piazza Fontana e successivi suggerimenti di forca”.
Nel testo, letto in anteprima dall’AdnKronos, non mancano snodi di grande interesse. Va subito detto che una buona metà del volume riguarda la formazione militare del giovane Maletti, l’esperienza di guerra, e Argiolas avverte il lettore che non troverà scoop (“rivelazioni di segrete cose”) sulla storia del paese, attraversata da Maletti a partire dall’impegno in guerra, nel secondo conflitto mondiale, dove combatte seguendo le orme del padre, Pietro Maletti, generale di divisione e medaglia d’oro, caduto in Libia il 9 dicembre 1940, durante la battaglia con gli inglesi. Qualche sassolino dalla scarpa, il vecchio generale però se lo leva: il dito resta puntato contro l’ingerenza della Cia in Italia. E non solo. Ma prevale ora la cautela: le stragi di destra degli anni ’70, Maletti, in una intervista a Repubblica a inizio anni 2000, le aveva definite operazioni in cui l’intelligence Usa ha fatto da supporto ai neofascisti italiani, con armi e aiuti, per creare un clima favorevole ad un colpo di Stato come quello del 1967 in Grecia, il golpe dei colonnelli.
Ora nelle sue memorie prende le distanze dalla Cia, nominata solo due volte nelle quasi 330 pagine. “A Roma la Cia – scrive Maletti – aveva un’importante ‘stazione’ dotata di personale e mezzi all’altezza delle ben note capacità, finalità e tecniche operative della potente agenzia. Non ne conobbi il capo, che manteneva contatti con il generale Miceli – ossia, di norma, a livello di capo Servizio – ma ricevetti di frequente a Forte Braschi un suo dipendente di grado elevato, ‘Rocky’ Stone, e un collaboratore di questi, Mike Sednaoui”. Definiti ambedue “molto cauti, e quindi assai di rado disponibili per un colloquio soddisfacente. Non ebbi mai da loro una aperta, fattiva cooperazione”.
Il 28 febbraio 1976 Maletti viene arrestato, l’accusa è di falso ideologico in atto pubblico e favoreggiamento personale nei confronti di Guido Giannettini e Marco Pozzan, nell’ambito dell’inchiesta sulla strage di piazza Fontana. “Guido Giannettini, giornalista, bene introdotto negli ambienti dell’estrema destra, cultore di scienze militari”, per Maletti era una fonte. Che decise di non rivelare, nonostante le richieste dei magistrati che indagavano su piazza Fontana. Dopo un processo durato due anni, la corte di assise di Catanzaro, il 23 febbraio 1979, condanna Maletti a 4 anni per favoreggiamento. Maletti riconosce di aver mentito ai giudici “con la ragione di salvaguardare la fonte e, con essa, la fiducia di numerosi altri informatori nella segretezza del loro impegno col reparto D”. Processi e condanne lo mettono nell’angolo: “Ma il peggio si rivelò, fin dall’inizio, con lo schiamazzo dei media attorno alla mia figura di ‘generale fellone’ o ‘stragista’ o, come da copione, ‘fascista’”, scrive nel 2008.
Anche Andreotti parve scaricarlo. Maletti scrive: “In sede processuale a Catanzaro, il teste Andreotti non volle tendermi una mano come avrebbe dovuto o potuto, rivelando in tal modo un disinteresse e una freddezza che tuttora giudico come meschina rivalsa della mia ‘bugia’ di tempi ormai lontani. Dell’uomo Giulio Andreotti non posso esimermi dall’apprezzare l’intelligenza, la cultura, la maestria politica, l’astuzia. Non l’animo né la rettitudine”, si legge a pagina 242.
Pochi i riferimenti ai tentativi di colpi di Stato, sia in Italia, che all’estero che negli anni ’60 e ’70, agitarono mezza Europa. Maletti non parla mai del golpe Borghese, il fallito tentativo dei neofascisti di prendere il potere la notte dell’Immacolata del 1970. Ma sulle trame greche, sul golpe dei colonnelli in Grecia, torna a indicare il ruolo degli Usa. Il colpo di Stato ad Atene “aveva goduto, se non dell’appoggio operativo, di quello morale dei servizi informazioni americani”. Dagli Usa fu dato il via libera al Golpe: “Ci fu un ‘go ahead’ agli alti ufficiali implicati”, rivela Maletti.
Il nome di Maletti entra e esce dalle trame occulte di quegli anni: “Fui convocato più volte in svariati processi come ‘persona informata dei fatti’ e prevedibilmente accusato di losche trame e pertanto, nell’ottica di molti giudici, già in cattiva luce. Fui quindi sentito a Venezia, Trento, Roma, Padova, Torino, Ascoli Piceno, Brescia e, in qualità di testimone invari uffici giudiziari romani. Il biglietto ferroviario, di mala grazia rimborsato, era quello di seconda classe. Vitto ed eventuale pernottamento, a carico del convocato”, scrive amaro. “Solo più di vent’anni dopo, da una fonte ineccepibile, il senatore Pellegrino, del Pd, presidente della commissione che indagava sull’eversione e il terrorismo in Italia, la cosiddetta ‘commissione Stragi’, mi venne riconosciuta, in sede di audizione, a Johannesburg, la totale estraneità alle attività ascrittemi con tanta leggerezza o malizia”. “Quarant’anni di continuo successo personale finito in rovina”, chiosa amaramente Maletti, poco prima di morire, rileggendo le bozze della sua biografia.
Intanto il suo nome, diventa la ‘dottrina Maletti’. E’ la sua firma in tema di depistaggi, una strategia raffinata che prevede di tenere fuori dalle vicende più oscure – si pensi al golpe Borghese – le figure più contigue agli apparati statali, alle stesse Istituzioni, come furono negli anni i vari Licio Gelli, venerabile capo della P2, il capo di Stato maggiore della Marina e poi della Difesa Giovanni Torrisi e altri. Una quasi difesa d’ufficio, non per averne condiviso le trame, piuttosto per evitare scandali e per difendere il buon nome degli apparati statali.
Nel libro prevale lo sguardo al passato, a chi si sente prima di tutto un militare: “Ho portato, nei gradi inferiori a quelli di generale, i colori, e talvolta anche la bandiera, dei seguenti reggimenti, in successione cronologica dal 1940 al 1970: 8° Fanteria ‘Cuneo’, 46° Fanteria ‘Reggio’, 6° Fanteria ‘Aosta’, 235° Fanteria ‘Piceno’, 3° Centro Addestramento Reclute o 3° CAR, 157° Fanteria Liguria’, 22° Fanteria ‘Cremona’. Tutti disciolti, ora, a parte il 235° di Ascoli Piceno che sopravvive come battaglione reclute femminili. Sic transit gloria mundi…”.