(Adnkronos) – Si accende una prima, piccola luce di speranza per Carola, la 17enne di Fiumicino che convive con la rarissima malattia di Lafora, un’alterazione genetica che fa sì che si accumulino zuccheri in particolare a livello cerebrale, in assenza delle proteine che dovrebbero sintetizzarli, coinvolte nel metabolismo del glicogeno. Di crisi in crisi, la sua vita di adolescente entusiasta e piena di passioni si era spenta piano piano. Per questo i suoi genitori, Simona e Lorenzo, si sono battuti con tutte le forze per offrirle almeno un tentativo di cura, anche spingendo insieme agli altri pochi malati, per portare avanti una promessa di farmaco che utilizza una piattaforma a Rna, e che un’azienda americana aveva iniziato a sperimentare, progetto finito al momento in un limbo. A sbloccare un’altra via per lei è stato l’intervento della Regione Lazio.
E oggi la speranza di Carola si chiama ‘Myozyme*’: è una terapia enzimatica sostitutiva già in uso per un’altra patologia, la malattia di Pompe. Venerdì la ragazza ha potuto ricevere la prima somministrazione all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. “Questo esperimento è il primo al mondo – racconta all’Adnkronos Salute Simona Fochetti, mamma di Carola – Non sappiamo se funzionerà ma per la prima volta qualcuno si è mosso per cercare di trovare soluzioni immediate”. Soluzioni per una ragazza che di tempo da sprecare in lunghe attese non ne ha. Per questi pazienti la prospettiva di vita è di pochi anni, in media 5-10 dall’esordio dei disturbi tangibili.
“Abbiamo avuto un angelo, la responsabile dell’area Farmaceutica della Regione Lazio, che ha capito la situazione – ripercorre Simona – Oggi la Regione sta acquistando questo farmaco, che viene somministrato a Carola per via endovenosa con gli stessi dosaggi e modalità che si usano per l’altra malattia. E c’è tanta attesa. Da parte nostra ovviamente, che sogniamo un cenno di miglioramento in nostra figlia, ma anche del resto del mondo che si interessa a questa patologia e ha bisogno di avere evidenze scientifiche che dimostrino se il farmaco è in grado di superare la barriera ematoencefalica come si ipotizza”. Le incognite le ha spiegate bene Roberto Michelucci, direttore dell’Unità operativa di neurologia dell’ospedale Bellaria – Irccs Istituto delle scienze neurologiche di Bologna. “La malattia di Pompe è una malattia dei muscoli e del cuore, la Lafora del cervello. E questo farmaco non è pensato per passare la barriera fra il sangue e il cervello. Noi – ha avuto modo di dire l’esperto – speriamo però che la passi in parte, perché in queste persone con epilessia questa barriera potrebbe essere alterata. E il farmaco somministrato a livello cerebrale nell’animale sembra funzionare”. Queste le premesse.
Carola dovrà fare infusioni ogni 15 giorni. “Ci si aspetta di cominciare a vedere se risponde alla terapia dalla quarta infusione in poi – dice la mamma – quindi dovremo aspettare un paio di mesi. Intanto la prima somministrazione non ha dato effetti collaterali e questo è importante”. Simona sa che davanti a sé ha un’adolescente, che da mesi vive lontana dalla scuola e dagli amici. “Carola è serena e anche lei spera. Vedo nei suoi occhi l’impazienza. Sogna di tornare a sentirsi se stessa”, ad essere la ragazza che i suoi coetanei hanno conosciuto e apprezzato. “Ha fretta di migliorare proprio per poter tornare a rivedere gli amici”.
Ecco perché, spiega la mamma di Carola, “non posso restare con le mani in mano. Da una parte sono serena, perché stiamo facendo qualcosa. Ma sto continuando a lavorare perché si possa fare ancora di più. Vorrei avere più certezze possibili che il farmaco superi la barriera ematoencefalica. E le avremmo se si ottenesse di utilizzare un device che funziona con gli ultrasuoni e agevolerebbe questo passaggio e l’arrivo del farmaco al bersaglio. Continuerò a scrivere mail e a sollecitare risposte da tutti, ogni giorno. Spero si possa fare un piccolo passo dietro l’altro”. E se ci fosse una speranza Oltreoceano, se si sbloccasse cioè la sperimentazione per il farmaco ‘disegnato’ specificamente per la Lafora, “farei di tutto perché anche i pazienti italiani possano coglierla”.
Il pensiero di Simona va anche agli altri ragazzi colpiti dalla malattia. “Noi abbiamo avuto la fortuna di trovare un interlocutore nella Regione Lazio che ha colto proprio la nostra necessità, l’urgenza di fare qualcosa. E ha reso possibile la terapia per Carola – conclude – Ma altri ragazzi italiani colpiti dalla malattia ancora no. E stiamo cercando proprio di trovare una strada uniforme per tutti. La speranza è che tutte le istituzioni, l’Agenzia italiana del farmaco Aifa, si muovano in questo senso, che il meccanismo si sblocchi. Che possano restare legati anche loro a questo filo di speranza”.