“Da una parte la Corte d’appello condanna per il reato di minaccia i mafiosi, dall’altro assolve i colletti bianchi. Quindi vuol dire che la trattativa c’è stata e che non è una bufala. Aspettiamo di leggere le motivazioni, ma una sentenza così è difficile da spiegare: solo se fossero stati tutti assolti sarebbe stato ribaltato il giudizio di primo grado con la conseguenza di riconoscere l’assenza della trattativa. Invece la condanna di Cinà conferma il papello e il suo arrivo a destinazione. La minaccia nei confronti dello Stato ci fu. Quindi questa sentenza conferma la trattativa, mentre esclude la responsabilità personale degli imputati condannati come tramite nel processo di primo grado”. A dirlo all’Adnkronos è Antonio Ingroia, ex procuratore aggiunto di Palermo e ‘padre’ dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, commentando la sentenza del processo d’appello che vede assolti gli ex ufficiali dei carabinieri e Marcello Dell’Utri e condannati solo i capimafia Bagarella e Cinà.
Per l’ex magistrato antimafia, oggi avvocato, “che di questa trattativa debbano rispondere solo gli uomini della mafia, usati come capro espiatorio, e nessun uomo dello Stato mi pare un risultato sostanzialmente ingiusto. Certamente lo Stato non esce assolto da questa sentenza, escono assolti solo quegli uomini dello Stato che erano stati imputati”. Questa sentenza l’ha sorpreso? “C’era già stata l’assoluzione di Mannino, era una delle possibilità in campo. Non sono rimasto né sorpreso né deluso. Non si tratta di questo. Io ho la coscienza a posto, so che ci sono stati giudici che hanno confermato in toto tutta l’impostazione. Registro solo un dato: gli stessi giudici dell’appello confermano esserci stata una trattativa nella quale la mafia minacciava lo Stato, usando intermediari delle Istituzioni. Sono un po’ curioso di leggere le motivazioni per capire come sia possibile che ne rispondano solo i mafiosi ma nessun colletto bianco. Vedremo se la Procura generale farà ricorso per Cassazione”.
“Spererei alla fine di questa vicenda processuale -conclude- di non dover dare ragione post mortem a Totò Riina quando diceva di essere diventato il parafulmine di tutti i misteri italiani, dove lo Stato italiano si rifugia dietro l’ombra dei capimafia”.