Era un lunedì di trent’anni fa quel 10 febbraio 1986, data storica che segnò l’inizio a Palermo nell’aula bunker dell’ Ucciardone, di quello che venne ribattezzato nel gergo giornalistico come “Maxiprocesso”.
E quel processo, “maxi” lo fu davvero: fortemente voluto dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, “esiliati” all’Asinara per ragioni di sicurezza, il Maxiprocesso vide coinvolti 475 imputati, 349 udienze, 8.000 pagine di verbale, 1.314 interrogatori, 635 arringhe difensive,900 testimoni, 200 avvocati penalisti, 500 giornalisti arrivati da tutto il mondo, per un totale di ventidue mesi di dibattimento.
Nessun’aula di tribunale esistente allora a Palermo era capace di contenere un processo di tali dimensioni, proprio per tale ragione a tempi record venne costruita di fianco al carcere dell’Ucciardone la sala bunker che da esso prende il nome, dotata per l’occasione di un sistema di archiviazione degli atti computerizzato, senza il quale il processo non sarebbe stato possibile.
Il Maxiprocesso non voleva essere una condanna della Mafia, già condannata moralmente e umanamente nella coscienza di tutti i cittadini, bensì una condanna per i mafiosi coinvolti nelle attività criminali.
E per la prima volta da quel 10 febbraio 1986, lo Stato avrebbe vinto il 16 dicembre 1987: la Corte, presidente Alfonso Giordano, giudice a latere Pietro Grasso, attuale presidente del Senato emise la sentenza dopo 36 giorni di camera di consiglio con 19 ergastoli, 2.665 anni di reclusione per i principali boss della cupola mafiosa e 114 assoluzioni.
Chiave di volta del processo, lo storico pentito mafioso Tommaso Buscetta, la cui deposizione ridusse al silenzio l’urlante orda mafiosa.
Tra i condannati Pippo Calo’, Michele Greco, Luciano Liggio, nonche’ Bernardo Provenzano e Totò Riina condannati all’ergastolo benche’ latitanti.
La sentenza di primo grado riscontrò appoggio ed approvazione da ogni parte del mondo; tutti compresi coloro i quali non erano contenti di una così penetrante lotta alla mafia si guardarono bene dal protestare.
Tra le fila mafiose serpeggiava invece un sentimento di ottimismo: ultima spiaggia erano i giudizi in appello e in Cassazione, durante i quali si riteneva che molte delle condanne sarebbero state fortemente diminuite.
Tuttavia con parziali riforme le condanne vennero confermate in appello, e con la sentenza del 30 Gennaio 1992 la Cassazione confermava le maggiori condanne, ed annullava alcune assoluzioni ordinando un nuovo processo.
“Finalmente – dice oggi il presidente del Senato Grasso – il mondo vedeva la mafia dietro le sbarre e avrebbe visto condannati centinaia di mafiosi. L’impegno dello Stato, il sacrificio di tanti uomini, e il lavoro del pool di Falcone e Borsellino trovavano un riconoscimento giudiziario e una consacrazione alla storia” .