Le mani della mafia anche sul gioco online.
Anche il gioco online e il cosiddetto mondo del betting sono finiti nella mani della mafia. 68 persone, tra boss e gregari delle più note famiglie calabresi, catanesi e pugliesi, ma anche imprenditori e prestanome, sono finite in manette con l’accusa di associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e autoriciclaggio, illecita raccolta di scommesse online e connessa fraudolenta sottrazione ai prelievi fiscali dei relativi guadagni.
Un sistema apparentemente semplice: le scommesse venivano puntate con il solo scopo di incamerare denaro e gli uomini partecipavano a giochi e tornei per ripulire e reimpiegare il denaro. Le più note e pericolose famiglie mafiose si sono dunque nascoste dietro le piattaforme di gioco spartendosi il mercato e finendo per controllare in maniera diretta o indiretta giocate per 4,5 miliardi di euro. Sotto sequestro sono finiti beni per oltre 1 miliardo di euro, mentre in queste ore oltre 80 perquisizioni sono in corso in tutta Italia. È questo l’esito di un’inchiesta che ha visto lavorare gomito a gomito Guardia di Finanza, polizia, carabinieri e Dia. A coordinarla, la Direzione nazionale Antimafia e Antiterrorismo, guidata dal procuratore Federico Cafiero de Raho, che ha messo insieme i filoni investigativi sviluppati dalle procure di Bari, Reggio Calabria e Catania. Dalle indagini, è emerso che i clan si erano spartiti il mercato delle scommesse online, accumulando guadagni immensi poi reinvestiti in patrimoni immobiliari e posizioni finanziarie all’estero intestati a persone, fondazioni e società, tutte ovviamente schermate grazie alla complicità di diversi prestanome. E proprio per rintracciare il patrimonio accumulato ed effettuare i sequestri è stata fondamentale la collaborazione di Eurojust e delle autorità giudiziarie di Austria, Svizzera, Regno Unito, Isola di Man, Paesi Bassi, Curacao, Serbia, Albania, Spagna e Malta.
Per comprendere come le mafie si siano mosse nel mondo del gioco online, determinanti sono state le dichiarazioni di un pentito, un professionista del betting, che ha operato con i clan reggini, catanesi e baresi per lo sviluppo e l’imposizione sul mercato di varie piattaforme di gioco. È stato lui a svelare le nuove frontiere degli affari criminali e il profilo dei nuovi picciotti chiamati ad esplorarle. A confermarlo poi sono state le intercettazioni. “Io cerco i nuovi adepti nelle migliori università mondiali e tu vai ancora alla ricerca di quattro scemi in mezzo alla strada che vanno a fare così: Bam, bam!”, diceva al telefono uno degli indagati. “Io cerco quelli che fanno così, invece: Pin, pin! Che cliccano! – continua, mentre l’interlocutore ride – quelli cliccano e movimentano. È tutta una questione di indice, capito?”. Ai clan oggi serve gente che abbia dimestichezza con i computer e poche remore, perché basta un clic per guadagnare milioni.
Affari che ’ndragheta, mafia catanese, criminalità pugliese hanno gestito insieme. “Ormai non esiste più una ’ndrangheta, una mafia siciliana o pugliese, sono organizzazioni fluide che in accordo fra loro gestiscono affari diversi”, spiega il procuratore capo della Dna, Federico Cafiero de Raho. “Di questi rapporti abbiamo una fotografia sempre più chiara, vediamo anche da indagini ancora in corso come le mafie tutte lavorino insieme in diversi settori. Resta da capire se esista una cabina di regia stabile o se gli accordi maturino di volta in volta sui territori interessati, ma anche su questo stiamo lavorando”, continua Cafiero de Raho. “Con questa indagine si dimostra in modo chiaro di quale sia la ricchezza di cui dispongono queste associazioni criminali. Se si riuscisse a sviluppare un vero contrasto su questo fronte, se davvero se ne capisse l’importanza, si potrebbe risollevare l’economia di questo Paese. Battere le mafie significa dare lavoro alle persone oneste che non sarebbero costrette a confrontarsi con la concorrenza sleale dei clan”.
Già nel 2015, la procura nazionale antimafia e quella di Reggio Calabria avevano battuto la pista dell’infiltrazione dei clan nel mondo delle scommesse online, svelando come la ’ndrangheta fosse riuscita a impossessarsi anche di un marchio mondiale delle scommesse come la Betuniq. Leader delle piattaforme di gioco online, in passato sponsor persino delle grandi competizioni della Serie A e delle coppe europee, Betuniq insieme alla galassia di società cui era collegata, era in realtà uno strumento usato dai clan per incamerare e riciclare denaro. Con cuore a Malta, punti di gioco sparsi su tutto il territorio italiano e affidati a uomini di fiducia, la società riusciva ad aggirare tutti i controlli dell’Aams, l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, che vigila su giochi e scommesse. Ma se si punta in Italia e il tavolo di gioco è oltreconfine l’Aams non può vedere e i clan possono impunemente incassare. Nel 2015 però la procura antimafia ha scoperto il sistema e sono scattati gli arresti.
In manette è finito anche il regista del sistema, Mariolino Gennaro. Nato e cresciuto nella periferia di Reggio Calabria all’epoca insanguinata dalla guerra di ’ndrangheta, preso sotto la propria ala protettrice da uno dei maggiorenti del clan Tegano, presto ha abbandonato le rapine per un business più redditizio, il poker. Con l’appoggio dei clan, la sua malattia è diventata la sua fortuna. Ha lasciato la Calabria per una comoda e dorata vita a Malta, bruscamente interrotta dall’arresto. Poco dopo Mariolino si è pentito, con i magistrati che lo hanno scoperto ha iniziato a parlare, diventando la gola profonda di un sistema che va oltre i confini della Calabria e dell’Italia.