(Adnkronos) – Potrebbe essere a una svolta la vicenda della morte dell’urologo di fama nazionale Attilio Manca, trovato morto il 12 febbraio del 2004. Secondo quanto riporta oggi Antimafiaduemila pochi giorni prima del viaggio in Francia, dove si trovava l’allora boss latitante Bernardo Provenzano per essere operato alla prostata, il capomafia avrebbe ricevuto un secco no da un medico a cui i suoi uomini si erano rivolti per prestargli le cure di cui aveva bisogno. Quel medico sarebbe stato Attilio Manca. “Per questo, i gregari del boss decisero: a quel dottore, macchiatosi di una colpa imperdonabile a causa del suo rifiuto, “andava fatta una doccia”. In altre parole, doveva essere eliminato”, scrive il sito.
Queste informazioni – finora inedite – sono contenute in un’intercettazione ambientale risalente gli ultimi mesi del 2003. Ai tempi la procura di Roma aveva aperto un fascicolo per la ricerca latitanti e aveva piazzato le sue microspie in una masseria dove, insieme a Provenzano (la cui voce venne registrata per la prima volta dall’inizio della sua latitanza), c’erano sei o sette uomini, tra cui il fedelissimo Giuseppe Lo Bue. “Quegli uomini, per varie volte nel corso della giornata, ripeterono la loro condanna a morte senza, tuttavia, pronunciare mai il nome del medico. Ora, però, l’esistenza di questa intercettazione potrebbe contribuire alla riapertura delle indagini sulla morte di Attilio Manca, giovane e brillante urologo siciliano, morto nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 2004 a Viterbo, la città in cui lavorava da meno di due anni all’ospedale Belcolle”, scrive Antimafiaduemila.
IL LEGALE DELLA FAMIGLIA MANCA – “Intanto bisogna verificare se questa intercettazione esiste, se così fosse e se fosse vera anche la collocazione temporale di questa intercettazione, che è antecedente alla morte dell’urologo Attilio Manca. Se fosse così, la prima domanda che mi faccio è: questa intercettazione chi l’ha fatta? E cosa ne è stato fatto?”dice all’Adnkronos l’avvocato Antonio Ingroia, ex Procuratore aggiunto di Palermo, e oggi legale della famiglia di Attilio Manca, l’urologo trovato senza vita nel 2004. Secondo la famiglia il medico non si sarebbe suicidato, ma sarebbe stato ucciso dagli uomini di Provenzano perché si sarebbe rifiutato di operare il boss a Marsiglia, dove era latitante. Fu trovato con dei fori di siringa nel braccio sinistro e una iniezione letale di droga. Per la famiglia e il legale una messinscena.
Nel corso degli anni, cinque collaboratori di giustizia – Giuseppe Setola, Carmelo D’Amico, Stefano Lo Verso, Giuseppe Campo e Antonino Lo Giudice – hanno detto ai magistrati che quello di Manca era un omicidio. Adesso l’avvocato Ingroia chiede chiarezza: ”Mi chiedo, gli ufficiali di Polizia giudiziaria che avrebbero fatto questa intercettazione l’hanno consegnata alla Procura di Palermo? Su quale scrivania l’hanno consegnata? E che sorte ha avuto? Se fosse vero, sarebbe una notizia enorme. Significa anche che Attilio Manca poteva essere salvato, se si fosse intervenuti tempestivamente”. “La famiglia ha subito parlato di fatti strani, collegati a Marsiglia e a Provenzano – dice Ingroia – avremmo certamente risparmiato 20 anni di indagini a vuoto, se qualcuno le avesse tempestivamente segnalato. Il primo a cui chiedere qualcosa sarebbe l’allora Procuratore capo di Palermo Pietro Grasso, che seguiva da vicino questa vicenda. Io c’erp in quel periodo in procura e mi chiedo sulla scrivania di quale pm è andata questa intercettazione?”.