Un addio non privo di risentimento, soprattutto per essersi sentito attaccato per aver scelto ‘controcorrente’ sul taglio dei parlamentari. Dunque stamane in aula è andato in scena l’ennesimo divorzio dal Movimento 5 Stelle, con il senatore Luigi Di Marzio a spiegare che “Di fronte a un’epurazione di fatto, della quale non posso che dover prendere atto, ancorché con il rammarico di separarmi da colleghi integerrimi, per fugare qualsiasi dubbio in merito, formalizzo in questa sede la mia decisione di aderire al Gruppo Misto, formazione certamente inidonea a favorire qualsivoglia eventuale desiderio – quanto mai improbabile, con un avvenire, per età, ormai soltanto dietro le spalle – della reiterazione di un’esperienza rivelatasi finora deludente, anche a causa del sostanziale disinteresse ad accogliere qualsivoglia contributo ulteriore rispetto a quello di dover pigiare pulsanti“.
Il senatore ha infatti una idea sua tutta sua riguardo quanto accaduto, rispetto ad una norma, votata “solo per disciplina, pur condividendo non soltanto le perplessità al riguardo manifestate da studiosi della materia, ma anche le critiche di quanti hanno argomentato che l’obiettivo del risparmio, invocato a sua giustificazione, avrebbe potuto ottenersi con procedura incomparabilmente più snella e senza dover incidere sul dettato costituzionale, operando cioè una semplice decurtazione degli emolumenti dei parlamentari, ma mantenendone invariato il numero, piuttosto che dimezzarne il numero a retribuzione invariata. Si sarebbe anche posto fine alle cicliche polemiche, concernenti le cosiddette restituzioni effettuate dai portavoce del Movimento che – ha quindi aggiunto Di Marzio – del tutto casualmente, nelle ultime settimane hanno visto anche me, infondatamente additato, contrariamente al vero, quale responsabile di non aver effettuato alcun versamento da oltre un anno. Dunque, in qualità di senatore della Repubblica, che reputa il dovere di rappresentanza dell’intera Nazione e non soltanto di una parte politica non mero flatus vocis, ma ineludibile responsabilità etica, ho ritenuto – ha spiegato Di Marzio – che non mi fosse consentito sottrarmi, per viltà e quieto vivere, all’obbligo di lasciare la parola definitiva ai cittadini elettori, affinché a essi fosse riconosciuto il diritto di partecipare a una scelta di tale rilevanza”. Ecco anche perché, ha spiegato il senatore, “apporre anche la mia firma alla richiesta di referendum confermativo e, dunque, indipendentemente da ogni soggettiva presunzione di certezza circa l’esito di tale consultazione, di dover sottoporre decisioni di tale portata a un vaglio da parte del popolo sovrano, essendo per formazione purtroppo incapace, a differenza di molti, di reputarmi depositario di verità indubitabili. Sorprendentemente questo gesto, improntato al più rigoroso rispetto per la democrazia sostanziale, si è trasformato in motivo di stigma e non soltanto da parte di quella frazione dell’opinione pubblica attiva sui social media, che non ha avuto ritegno nel demonizzare così gli strumenti della democrazia diretta, mentre assumeva di uniformarsi ai suoi principi. Avverso simili censure, con involontaria eloquenza, non si è registrata alcuna presa di posizione ufficiale in difesa di un essenziale principio democratico – ha proseguito l’ex senatore 5stelle – cui si era, altrimenti, costantemente inneggiato, lasciando così che venissi additato quale eretico, ovvero, meno eufemisticamente, traditore. Mentre quell’indifferenza si sarebbe potuta ascrivere all’irrilevanza dell’accaduto, non può invece risultare accettabile, per quanto mi riguarda, il silenzio che ha accolto giudizi con cui, lungi dal rispettare principi fondanti, è stata invece esplicitamente stigmatizzata, pur se in forma impersonale, la scelta da me compiuta”.
Infine Di marzio ha ricordato che “Ho assistito al ricorso, anziché ad argomenti di merito, a triti luoghi comuni e a strategie di ammonizione e colpevolizzazione mediante argumenta ad baculum, gli argomenti del bastone, del tipo: chi compie queste scelte sarebbe animato dall’interesse a innescare una crisi di governo per andare a elezioni anticipate; si assumerebbe la responsabilità di accollare alla collettività il costo di un referendum inutile, perché di esito scontato; ovvero con argumenta ad hominem, argomenti della denigrazione personale, del tipo: chi compie certe scelte sarebbe animato da narcisistici desideri di un’ora di notorietà; da intenti ricattatori, per ritrattare, a fronte di contropartite; da meschina volontà di rivalsa per il mancato riconoscimento di meriti presunti; dall’obiettivo di garantirsi prospettive di accesso a future prebende, altrimenti utopiche”.
Max