(Adnkronos) – “E’ scandaloso, il mio assistito non ha mai fatto entrare in Italia degli stranieri, come invece fanno tanti ‘tassinari’ del mare che quotidianamente fanno arrivare migliaia di extracomunitari sulle nostre coste. Il mio cliente faceva semplicemente il tassista per un gruppo di somali, portandoli da un posto all’altro, al centro di Catania. Io sono allibito, condannano a sei anni una persona che fa il tassista abusivo in centro. E gli viene, invece, contestato il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. A parlare con l’Adnkronos, è l’avvocato Giuseppe Lipera, che assiste Salvatore Pandetta, 69 anni, condannato sia in primo che in secondo grado a sei anni di carcere per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Sarà adesso la Corte di Cassazione, il prossimo 5 maggio, a decidere se confermare la condanna a sei anni di reclusione per Pandetta. “Non è possibile che ogni giorno le ong, i tassinari del mare, portino migliaia di migranti clandestini sulle nostre coste – dice ancora Lipera – mentre condannano un signore, un incensurato, che che faceva il tassista in centro per alcuni migranti. Semmai gli possono contestare di avere fatto il tassista abusivo, ma non certo il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
Salvatore Pandetta venne arrestato il 10 maggio 2016 con un provvedimento di fermo emesso dalla Procura di Catania, ma il gip Santino Mirabella rigettò la richiesta della Procura di misura cautelare rilevando che “il suo ruolo di accompagnatore non appare sussumibile nell’ambito dell’adesione a un progetto comune, che lo veda insomma coinvolto attraverso una affectio societatis”. Il 23 marzo del 2021 arriva la condanna in primo grado a sei anni di carcere, emessa dalla Corte d’assise di Catania. Il 29 luglio 2021 l’avvocato Lipera presenta alla Corte d’Assise d’appello di Catania un atto di appello contro la sentenza di primo grado in cui spiega: “Dalla complessa attività di indagine condotta dalla Polizia giudiziaria è emerso che Pandetta ha trasportato con la propria auto dei soggetti di nazionalità straniera da un posto all’altro della città per il soddisfacimento delle loro esigenze quotidiane, come fare la spesa, recarsi in banca, su richiesta degli stessi ricevendo in cambio modiche somme di denaro per il costo della benzina”.
“Non vi è traccia di alcuna qualsivoglia attività posta in essere dall’imputato per favorire o agevolare l’ingresso e la permanenza illegale sul territorio nazionale di soggetti extracomunitari così come prescritta dalla norma incriminatrice, né tantomeno ulteriori elementi di prova in tal senso sono affiorati in sede di istruttoria dibattimentale”, scrive nell’atto di appello l’avvocato Lipera. “La ricostruzione dei fatti contenuta in sentenza viene totalmente smentita dalle prove acquisite in dibattimento, atteso che contrariamente a quanto affermato in motivazione, Pandetta è risultato essere totalmente ignaro della condizione di irregolarità dei soggetti trasportati”, dice ancora Lipera.
I giudici di primo grado, secondo il legale, “omettono di considerare che all’esito dell’istruttoria dibattimentale manca del tutto la prova che l’imputato in concorso con altri soggetti abbia favorito la permanenza illegale nel nostro territorio di 5 o più persone al fine di conseguire un qualsivoglia vantaggio, anche indiretto”.
L’11 maggio 2022 la Corte d’assise d’appello conferma, invece, la condanna a sei anni di carcere per Pandetta. E il legale, il 29 luglio 2022, ha presentato un nuovo ricorso, stavolta in Cassazione. In cui dice: “E’ stato ampiamente evidenziato con l’atto di gravame che non è emersa in dibattimento alcuna prova chiara e inconfutabile in ordine alla condotta di reato contestata all’imputato che si sarebbe concretizzata n una effettiva partecipazione di Pandetta a un sodalizio criminoso volto a favorire l’immigrazione clandestina, in quanto l’imputato si è limitato per un breve periodo a trasportare con la propria auto dei somali da un posto all’altro della città di Catania”.
Per il legale i giudici avrebbero “errato nell’interpretazione del fatto”. “La condotta posta in essere da Pandetta non integra assolutamente il reato associativo contestato, atteso che non vi è traccia di alcuna attività posta in essere dall’imputato per il raggiungimento degli scopi propri dell’associazione: gli unici elementi richiamati in motivazione sono solo alcune intercettazioni telefoniche intercorse in un lasso di tempo ristrettissimo, che nulla dimostrano e che non sono avvalorate da elementi esterni e oggettivi di riscontro e smentite dalle stesse risultanze probatorie”. Poi Lipera inserisce nell’atto anche una conversazione intercettata l’1 febbraio del 2016 tra l’imputato e il coimputato, Nour ‘West’ “nel corso della quale dinnanzi la richiesta di quest’ultimo di accompagnare degli extracomunitari a Mineo, Pandetta espressamente gli chiede: ‘Ma sono in regola o hanno dei problemi?’ e West lo rassicura: ‘No no, sono in regola, io non ti porto (inc.) che non sono in regola’”. Ecco che il legale spiega: “Emerge chiaramente e incontrovertibilmente la totale estraneità di Pandetta in ordine al reato associativo contestatogli e l’assoluta carenza della coscienza e volontà di associarsi con altri soggetti per commettere un serie indeterminata di delitti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
Adesso la parola passa ai giudici della Corte di Cassazione, prima sezione penale. Che dovranno decidere se Salvatore Pandetta, “che in passato faceva l’autista dei carabinieri per le traduzione”, come dice Lipera, abbia favorito l’immigrazione clandestina o abbia fatto il tassista, abusivo, di un gruppo di somali.
(di Elvira Terranova)