Un uomo di parola rispetta sempre le promesse fatte. Un mese fa, poco dopo aver scoperto la malattia, Sinisa Mihajlovic aveva annunciato alla famiglia che avrebbe voluto assistere alla prima partita del suo Bologna dalla panchina. Non sapeva ancora come il suo corpo avrebbe reagito alle cure per combattere la leucemia, ma la sua testa era già proiettata a quella domenica di agosto dove il tempo avrebbe lasciato spazio solo al campo regalando 90 minuti di vita vera.
Sinisa Mihajlovic non ha avuto paura di mantenere la parola data, perché è un leone che non si tira mai indietro. È arrivato allo stadio con una mascherina bianca a coprirgli il viso e un cappellino nero a nascondere i segni della sua feroce lotta. Ha imboccato la via per gli spogliatoi e ne è entrato accolto dall’emozione e la meraviglia dell’intera squadra, sorpresa di vedere già tra loro il comandante della truppa.
Al suo ingresso in campo era privo di ogni maschera, non solo quella bianca che gli nascondeva il viso. I chili in meno e la faccia scavata raccontavano di una sofferenza fisiologica, gli occhi accesi e lo sguardo fisso sul campo disegnavano invece un Sinisa mai domo, pronto a combattere per tornare a dare il massimo per quello che gli piace di più.
Le sue dimissioni dall’ospedale di Verona dove è in cura erano previste tra pochi giorni, ma la sua volontà ha convinto i medici a concedergli un’uscita anticipata per seguire il suo Bologna. Sul corpo ancora i segni della sua permanenza nel reparto oncologico, come il cerotto appiccicato sul collo e un bracciale bianco al polso sinistro che toglierà solo quando uscito definitivamente dall’ospedale.
È rimasto in piedi ai bordi dell’area tecnica, ha parlato con qualche giocatore e affidato al suo vice i dettami tattici da trasmettere alla squadra. Si è anche arrabbiato quando il tempo di recupero concesso dall’arbitro gli è sembrato troppo breve e si è preso un coro dall’intero stadio che ha urlato il suo nome a tutta forza. Sinisa poi è tornato all’ospedale, deve ancora vincere la sua partita. Ma la panchina è già lì che lo aspetta, quella è roba sua.