Lo spoiler principale è il titolo, che campeggia in copertina ornato da un poetico disegno del vignettista Mauro Biani. ‘Alla fine lui muore’, in uscita il prossimo 11 novembre, segna il ritorno al romanzo del regista, sceneggiatore e autore satirico Alberto Caviglia (Giuntina, pp. 158, euro 14,00) che, in questa seconda fatica letteraria dopo ‘Olocaustico’, affronta con la consueta spiazzante ironia il tema di una generazione di ‘giovani vecchi’. “Questo romanzo ruota attorno ad una figura particolare di cui si parla spesso in riferimento alla mia generazione, quella del ‘giovane vecchio’ -spiega all’Adnkronos il 37enne autore romano- Mentre facevo, durante il lockdown, una serie di considerazioni sulla mia vita e su ciò che non si riesce ad ottenere, è venuta fuori la figura di questo scrittore trentenne che ad un certo punto si ritrova in uno stallo esistenziale”.
Un bel giorno, svegliandosi, il protagonista Duccio Contini “si accorge di una cosa incredibile: è diventato vecchio. Sgomento, si spaventa nel venire a conoscenza di questa notizia ma ben presto scopre che la gente non reagisce con sorpresa alla cosa, anzi: non la commenta neanche, come se fosse nell’ordine delle cose”, racconta Caviglia. “Dopo una prima fase di rifiuto e di spavento, il protagonista comincia ad entrare in una fase di accettazione della vecchiaia, che comporta per lui una vera e propria liberazione. Si ritrova cioè liberato dall’ansia lavorativa, dalle aspettative, non deve più giustificarsi o inventare scuse se un amico lo invita fuori perché lui è vecchio, deve stare a casa”.
Come si evince, dunque, questo libro “è una satira sulla mia generazione, che mi verrebbe da descrivere come una generazione di mezzo che è rimasta fregata -analizza lo scrittore- e che non era stata minimamente preparata a ciò che sta accadendo adesso. E’ incompresa sia dai giovanissimi, che sono molto più capaci di affrontare i nuovi tempi, più a loro agio col digitale, e quindi li considerano vecchi, e quella dei genitori, che in gioventù avevano avuto modo di trovare uno spazio, di costruirsi, di realizzarsi”.
E’ una generazione “piena di persone che vivono un costante senso di inadeguatezza, che poi è centrale nella mia poetica. L’espediente del giovane che diventa vecchio è stata l’occasione per dar vita a un flusso di coscienza”. Duccio Contini “pensa ossessivamente al suo epitaffio, ama le cose curate, ma nel momento in cui si sente finalmente pronto ad affrontare la sua vita da vecchio, accade qualcosa che inevitabilmente scompiglierà, ancora una volta, la vita del protagonista”, spiega l’autore.
Riflessioni profonde e umorismo sono la cifra stilistica di Caviglia, che dopo oltre dieci anni di assistenza alla regia ha esordito come regista sul grande schermo nel 2015 con il dissacrante e ironico ‘Pecore in erba’. “Mi divertiva un po’ il fatto di scrivere una sorta di autobiografia, con toni anche enfatici che vengono usati nelle biografie di personaggi grandi, ma scritta da un giovane che in fin dei conti non ha ancora fatto un cazzo nella vita”, ironizza. Inevitabile pensare che il libro possa diventare la trama di un film. “Mi piacerebbe -ammette lo scrittore- anche se questa è la prima cosa che ho scritto senza pensarla come una sceneggiatura per un film. Ma nella vita non si sa mai”. A buon intenditor…
(di Ilaria Floris)