Ma, in sintesi, come si può sperare un esito pacifico e definitivo della Libia? Secondo Aguila Saleh, presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, intanto l’Italia deve imporsi per il cessate il fuoco in Libia, proprio onde evitare “una guerra violenta che è un male per tutti”, e la ripresa del dialogo politico”. Raggiunto in esclusiva dall’agenzia di stampa Adnkronos, Saleh ha aggiunto che “chiediamo sostegno per risolvere la crisi libica, per riprendere il dialogo politico intra-libico e dare vita a un nuovo governo“.
Saleh, in rientro da Ginevra ha ribadito che si è confrontato Stephanie Williams – segretario generale dell’Onu – al quale ha rivelato di sentirsi pronto ad un incontro con Stephanie Williams, alla quale ha detto di essere pronto ad avviare un dialogo con il Consiglio di Stato di Tripoli. “E’ un’istituzione che noi non riconosciamo – sottolinea il presidente del Parlamento di Tobruk – ma il dialogo deve riprendere“.
E poi l’Italia deve sostenere il cessate il fuoco, perché, “se non ci sarà, la Libia diventerà teatro di una guerra violenta che è un male per tutti. “La Libia – insiste Saleh – non deve diventare un teatro di operazioni militari che rechino danno agli impianti petroliferi e alle istituzioni vitali”.
Altro capitolo dolente: il blocco alle esportazioni di petrolio che, ha affermato, è destinato a prolungarsi fino a “quando non saranno state soddisfatte le nostre richieste, che sono quelle di un’equa distribuzione dei profitti a tutti i libici“, afferma rispetto alla posizione dell’est sul blocco petrolifero, intorno al quale, tra la speranza di un accordo – spesso vicinissimo – e le accuse al governo di Serraj, “che utilizza i proventi per pagare le milizie ed i mercenari”. Del resto, rimarca ancora Saleh, “Il petrolio è una ricchezza che appartiene a tutti i libici. Il 70% del petrolio si trova a est e a sud, ma gli introiti sono sotto il controllo del governo di Tripoli, che li usa per pagare milizie e mercenari, un giorno ha distribuito 2,5 miliardi di dinari libici alle milizie e ai mercenari, invece che alla popolazione per comprare cibo e medicinali”. Motivazioni che nei mesi scorsi hanno indotto le tribù della Cirenaica “a chiudere gli impianti, perché vogliono un meccanismo di distribuzione della ricchezza attraverso un Paese terzo, in attesa della nascita di un nuovo governo, o una commissione dell’Onu”.
Quindi il presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk lamenta inoltre che “è ingiusto che il denaro non arrivi a tutti i libici, ma solo a una parte. L’Esercito nazionale libico (Lna,ndr) ha solo il compito di tenere sotto controllo gli impianti. La nostra è una richiesta legittima dal punto di vista umanitario. Le esportazioni petrolifere riprenderanno quando saranno soddisfatte le nostre richieste“.
Ed ancora, per restare sul tema: “Noi non consentiremo che gli interessi dell’Eni in Libia siano toccati. L’Eni è una grande azienda, è un’azienda importante per la Libia”. Quindi Saleh esalta “la partnership vera con l’Italia in molti settori, per la ricostruzione del Paese. Noi vogliamo che continui il suo lavoro“.
Quindi Saleh lancia un monito rivolto alle forze del governo di accordo nazionale libico, qualora venisse loro in mente di attaccare Sirte (città natale Gheddafi), che rappresenta l’ultimo avamposto di Haftar a ovest, “si troverebbero davanti ad una resistenza fortissima, sia da parte nostra, che da parte dei paesi che ci sostengono. Non ci sarebbe alcuna giustificazione – avverte ancora il politico libico – Loro sanno che se attaccano ci sarà una guerra violenta e nessuno sa che esito avrà. Credo che loro sappiano di non poterlo fare, bisogna rispettare la volontà della comunità internazionale che chiede il cessate il fuoco”.
Rivelando di aver avuto un ottimo incontro con Richard Norland, ambasciatore americano a Tripoli, Saleh confida che ”Con gli Stati Uniti abbiamo un buon rapporto, ma vorremmo fosse migliore”, nello specifico, Norland ”sostiene la soluzione politica della crisi in Libia, che la soluzione militare non è un’alternativa, la dichiarazione del Cairo ed il cessate il fuoco”.
Per quel che riguarda i rapporti con Khalifa Haftar, “ogni tanto abbiamo delle divergenze, e questo è un bene, ma condividiamo un obiettivo comune, che è quello della stabilità della Libia. Possiamo avere opinioni divergenti – aggiunge ancora parlando del generale ma siamo sempre in contatto. Qualche volta uno crede che una soluzione debba seguire un certo percorso e l’altro uno diverso, ma l’obiettivo comune è di risolvere la crisi libica e mantenere la stabilità, la sicurezza e la democrazia“. E se qualcuno gli domanda ‘dell’attacco’ condotto dal generale 17 mesi fa contro Tripoli, Saleh corregge: “Dal punto di vista semantico è sbagliato parlare di attacco, perché l’Esercito ha il dovere di garantire la sicurezza, di difendere la Costituzione e di combattere il terrorismo“.
Stamane, incontrando i giornalisti per riferire in merito alla riconversione in moschea della Basilica di Santa Sofia, ad Istanbul, l’ambasciatore turco a Roma ha anche parlato della crisi libica, spiegando che il suo paese si trova nella regione nordafricana in virtù “della Risoluzione 2259 del Consiglio di sicurezza dell’Onu” la quale, si rivolge a ”tutti i membri delle Nazioni Unite di sostenere il Governo di accordo nazionale di al-Serraj’’. Dunque, ha aggiunto, ’’Quello che noi stiamo facendo in Libia è sostenere il Governo di accordo nazionale”, ha affermato il diplomatico turco, commentando come la Turchia ”crede che non ci possa essere una soluzione militare alla crisi in Libia e che si debba arrivare a una soluzione pacifica della crisi, che è la stessa che si aspettano tutti i libici. Purtroppo il ruolo di Haftar è molto negativo”. Secondo quest’ultimo, il generale a capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico ”ha cercato di prendere il controllo di Tripoli’ e lo avrebbe fatto ‘se non avessimo dato il nostro sostegno al Gna’’. Quindi, prima di concludere, il diplomatico ha voluto sottolineare come la Francia, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti ”stanno violando l’embargo sulle armi alla Libia’, facendo ‘un gioco pericoloso’‘. La Turchia, ha avvertito ‘non è in una posizione ambigua. Noi siamo dalla parte della comunità internazionale e ne rispettiamo le leggi. Quelli ambigui sono gli altri, non vogliamo cadere nella loro trappola’’.
Un argomento dal quale Saleh si ‘smarca’ abbastanza in fretta: “Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha mandato in Libia 15mila uomini, tra mercenari e ufficiali dell’esercito, alcuni dei quali – rimarca – sono nostri ostaggi”. Per quanto riguarda il fronte est, aggiunge poi, “non c’è nessun mercenario, nessun mercenario combatte al fianco dell’Esercito nazionale libico”.
Max