(Adnkronos) – Difficile dire quale sia il confine tra lo sport, anche se dilettantesco, e il turismo, anche se sportivo: quest’anno a L’Eroica 2022 – il primo e il 2 ottobre prossimi si correrà la XXV edizione conteggiando l’anno di stop da Covid- saranno in 9.000 alla partenza e quasi la metà, 4.000, gli stranieri da ogni continente con la netta prevalenza di tedeschi. E’ la più alta partecipazione numerica in venticinque edizioni. L’ormai classicissima gara amatoriale è diventata, da quel ’97 in cui un gruppo di 92 matti guidati da Giancarlo Brocci decise di farsi una corsetta di oltre 200 km (209 è la misura epica, poi ci sono anche percorsi inferiori) su e giù per le strade bianche delle colline toscane, un fenomeno che viene replicato dal Sudafrica alla California ma il cui cuore resta a Gaiole in Chianti.
I novemila attesi, minimizza Brocci, “realmente, sono solo quei 92 moltiplicati per 100. Nel senso -dice il fondatore dell’Eroica- che l’anima profonda non è cambiata, ha fatto tanta strada rimanendo sé stessa, coinvolgendo per condivisione di valori. Sempre più persone sono state attratte da questa occasione in cui la passione per un grande sport si coniuga con la produzione di gioia ed amicizia, di attenzione al territorio, di rispetto per gli altri, di condivisione di emozioni”. L’attrattiva, secondo lui, non è solo il Chianti: “di certo c’è la sua unicità, l’incontro con un universo di gente perbene che si pensava non esistesse più, ormai messa ai margini di un mondo sempre meno attento ai buoni sentimenti ed alle giuste nostalgie. Di sicuro il ciclismo oggi è una pratica mondiale e quello che ha scritto la storia fino a mezzo secolo fa era solo in Italia, Francia, Belgio e poco oltre. Oggi Gaiole in Chianti offre un’occasione imperdibile di ritrovo dentro una magia che produce effetti lunghi un anno”.
Un entusiasmo amatoriale -anche se, si apprende, ci sono timidi segnali di speranza di vedere Tadej Pogacar alla 25ma edizione- che non accenna a smettere, dimostrando che non si tratti di una boutade passeggera quella di inforcare bici da corsa vecchie (ammessi mezzi costruiti solo fino al 1987): “a me non è mai dispiaciuta anche l’idea che questo evento diventasse moda, che fosse bello raccontarlo ai vicini di ufficio, che suscitasse orgoglio poter dire ‘io c’ero’. Di certo il valore più corretto sta nel concetto di essenza dello sport, dell’averlo collegato alla bellezza della fatica ed al gusto dell’impresa, come quel ciclismo che scriveva le avventure di inizio Novecento fino alle gesta di eroi omerici come Bartali e Coppi”.
Ma tra tipo di bicicletta, vestiario d’antan e contesto in cui pedalare vince il secondo: “scelgo la strada bianca -dice Brocci-. Ovviamente niente da togliere al fascino di biciclette datate e maglie di lana, un’ambientazione da film d’autore, ma l’aver riportato la bici da strada fuori dall’asfalto ha rappresentato di gran lunga il grande valore aggiunto. Basti pensare al successo, anch’esso ben mondiale, de L’Eroica Pro, oggi Strade Bianche; mancano i due elementi di cui sopra, polvere o fango fanno di gran lunga lo spettacolo di una corsa già diventata sulla strada e tra i campioni la Sesta Monumento”.
A chi si rivolge oggi L’Eroica e che pensa del ciclismo di questi anni? “Sento molto più vicini alla mia e loro passione alcuni grandi interpreti del ciclismo di oggi, ragazzi che cercano sempre più di recuperare la bici come divertimento nonostante la vivano ai massimi livelli e dentro meccanismi che tendono a farli recitare a copione. Penso ai Pogacar, Van der Poel, Alaphilippe, Van Aert, li sento eroici d’anima; al di là della classe, non credo sia un caso che sono gli ultimi vincitori della mia Eroica Pro, oggi Strade Bianche”.