Ormai, a ragione, sono il tema portante di questi giorni: le riaperture. E se fiutata la ‘malleabilità’ del governo, i vari settori produttivi mai come in queste ultime settimane ‘martellano sull’urgenza di tornare a lavorare’, ovviamente sul fronte sanitario – dove prevale la cautela – le perplessità non mancano. E’ il caso ad esempio del virologo dell’università degli Studi di Milano, Fabrizio Pregliasco il quale, intervenendo stamane su Raitre, ha commentato che “La decisione di procedere alle riaperture, allentando progressivamente le restrizioni anti-Covid, sicuramente potrà avere un prezzo da pagare e questo è oggettivo”.
Dunque, ha spiegato, se il capo del governo lo ha definito un “rischio ragionato“, dal canto suo il virologo milanese tiene invece ad affermare che “dal punto di vista della sanità pubblica, dal punto di vista scientifico, il rischio dovrebbe tendere a zero, quindi dovrebbe comprendere in questo momento un lockdown stretto, strettissimo e prolungato, che – ha dovuto riconoscere – tuttavia è impossibile nella pratica”.
Infatti, aggiunge ancora il direttore sanitario dell’Irccs Galeazzi di Milano, “Se il sistema dei colori ha mitigato la velocità con cui la malattia si è diffusa, non si è riusciti a ottenere una riduzione dell’incidenza sotto livelli tali da permetterci un tracciamento, però ha reso meno pesante l’impatto sul Servizio sanitario nazionale”. Dunque, avverte Pregliasco, “Io credo che un rischio c’è, è oggettivo e dipenderà da tante cose: in primis dalla velocità con cui la vaccinazione potrà progredire, ma anche dalla responsabilità di ognuno di noi”.
Allo stesso modo, sottolinea il virologo, “preoccupa molto” anche il ritorno a scuola in presenza, “Non tanto i piccolini, ma gli adolescenti e la fascia giovanile – osserva – sono colpiti dalla variante inglese del coronavirus Sars-CoV-2 in modo più ampio e con forme asintomatiche, quindi difficili da individuare senza uno screening“. E’ perciò plausibile che il ritorno sui banchi “rappresenta sicuramente un’esigenza. Lo si vuole, lo si desidera ed è necessario per certi versi. Lo vedo anche all’università, nei corsi che faccio in differita: l’efficacia è sicuramente inferiore almeno per una parte dell’insegnamento, per la discussione, per l’interazione”. Urge quindi attenzione, raccomanda il virologo, “un protocollo all’interno della scuola, se ben seguito, minimizza i dati e alcuni studi ce lo dicono, tutto ciò che è la mobilità intorno spaventa, perché alla fine sono quelli i luoghi di maggior affollamento, e quindi di maggior rischio”.
Quando invece alla faccenda dei vaccini e, in particolare, di ‘quelli’ che si sono mostrati più sensibili, anche per il Johnson&Johnson “E’ probabile” che, come AstraZeneca, sia preferibile un utilizzo volto ad una fascia d’età over 60. Tuttavia, si augura Pregliasco, anche alla luce dell’imminente pronunciamento dell’Ente regolatorio europeo del farmaco che, diversamente da quanto accaduto per AstraZeneca, “spero che poi ci sia un’indicazione europea unitaria, e che non ci sia quella cacofonia terribile che ha creato un pasticcio sul prodotto anglo-svedese”.
Del resto, ribadisce l’esperto, gli episodi tromboembolici anomali, “sono “eventi rarissimi” ad esempio, precisa, molti non sanno che “i fumatori hanno un rischio 500 volte maggiore di avere trombosi“. Dunque, cercando di “rinforzare non tanto l’eccessiva e asfissiante analisi degli eventi avversi del vaccino, quanto piuttosto la macroscopica evidenza dei dati, delle morti che ci sono – causate dal coronavirus Sars-CoV-2 – e del rischio oggettivo che corre chi magari rifiuta l’iniezione-scudo che gli viene proposta, e aspetta ‘un secondo giro, per la paura della vaccinazione che surclassa la paura della malattia”.
Infine, tiene a precisare Pregliasco concludendo: “L’elemento trombosi non mette in evidenza alcuna differenziazione che porti a considerare come di serie B il vaccino a vettore virale. Spero – auspica – che ci sia una comunicazione stavolta univoca e chiara”.
Max