Dal 12 al 28 ottobre, il museo Maxxi di Roma dedica una retrospettiva a quello che può essere considerato il re dei paparazzi italiani, ovvero Rino Ballilari. Le sue fotografie sono significative di un epoca, tanto da essere considerate oggi delle vere e proprie opere darte, e non dei semplici inserti da inserire in qualche rivista di gossip. Lo stesso Barillari, in passato, ha spiegato quale sia stata la sua filosofia di vita, raccontando spassosi aneddoti con le celebrità con cui gli è capitato di lavorare. “Il personaggio famoso è come un parente, gli devi portare rispetto,- spiega il fotografo- così anche tu continui a lavorare. Se lo distruggi, è finita anche per te. Con Marcello Mastroianni ad esempio abbiamo litigato mille volte ma ci siamo sempre perdonati. E insieme abbiamo fatto cose bellissime”. Qualora gli fosse mai successo di “distruggere” la privacy di qualche personaggio famoso, lo ha fatto con la consapevolezza che si trattava di un grande gioco. Erano gli anni della Dolce Vita e farsi distruggere significava conquistare le copertine dei giornali, quindi guadagni assicurati. Barillari, attraverso le sue foto, ha narrato lItalia e i suoi cambiamenti. La mostra a lui dedicata, dal titolo “Rino Barillari – The king of paparazzi”, è un percorso completo sulla carriera del fotoreporter che ha fissato le immagini più significative degli ultimi cinquantanni, dalle star internazionali ai sanguinosi fatti di cronaca degli ultimi decenni, alle grandi personalità di ieri e di oggi. “Quelle immagini non sono più mie, sono di tutti – dice Barillari – raccontano i nostri padri, i nonni, lItalia che voleva cambiare, diventare la prima nel mondo. Ci provava con grandi sacrifici perché era un paese diverso, non cera il divorzio, non potevi baciare una ragazza in mezzo alla strada, se eri una donna non potevi truccarti in modo vistoso perché venivi etichettata. Ho raccontato i cambiamenti ma ne ero inconsapevole, sono arrivato a Roma nel 59 a quindici anni, solo più tardi ho capito che stavo fissando la storia del paese”. E questo lo racconta anche un docufilm: perché la mostra, prodotta da Istituto Luce Cinecittà con il contributo della Direzione generale Cinema del ministero dei Beni e delle Attività culturali e curata da Martino Crespi, nasce da unidea di Massimo Spano e Giancarlo Scarchilli, autori di The king of paparazzi – La vera storia, prodotto da Istituto Luce Cinecittà e da Michelangelo Film, presentato nella sezione Riflessi della Festa del Cinema di Roma, il 27 alle 21.30 presso lAuditorium del Maxxi. Venti mesi di lavoro, spiega Spano, “per dare alle foto di Rino un assetto globale, non solo la Dolce Vita. E un viaggio in Italia che parte dalla sua gioventù, passa per i suoi scatti e le testimonianze di Giuseppe Tornatore, Claudia Cardinale, Giancarlo De Cataldo, Enrico Lucherini, Walter Veltroni e tanti altri. E cè Roma, attraverso la sua trasformazione raccontiamo quella dellItalia. Volevamo fare unoperazione culturale, con una mostra un film e un libro, che possa camminare nel mondo”. La storia di Barillari parte da Limbadi, in Calabria, da dove si trasferisce a Roma ragazzino, nel 59. Allinizio un po di fame, la condivisione di una stanza con altre cinque persone, poi fiuta laria e capisce quale strada prendere. Fa le foto ai turisti a Fontana di Trevi. Con i primi guadagni compra, al mercato di Porta Portese, una Comet Bencini usata. Fotografa la gente comune, ciò che lo incuriosisce vagando per la città. Annusa i primi sentori della Dolce Vita. Si mette dietro ai grandi, ruba il mestiere a Tazio Secchiaroli, Marcello Geppetti, Ivan Kroscenko, Paolo Pavia, Antonio Tridici. Diventa paparazzo. Entra in azione e non si ferma più. Dai tavoli di via Veneto passerà agli scoop degli anni Sessanta-Settanta, alle foto di Paul Getty III, gli effetti personali di Pasolini dopo il suo assassinio, la rivolta del carcere di Rebibbia, gli attentati delle BR a Roma, poi la cronaca nera, il terrorismo, la mafia. Nel corso della carriera ha venduto le sue foto allAnsa, allAssociated Press, allUpi, ha lavorato prima al Tempo poi al Messaggero. Un segugio instancabile e onnipresente. Baffi neri, sigaretta, occhi scuri sempre allerta, la battuta pronta, una galanteria verace. Per tutti, “The King”. Nel suo archivio personale ha oltre 400.000 fotografie. E il ricordo di 163 ricoveri al pronto soccorso, 11 costole rotte, una coltellata, 76 macchine fotografiche fracassate. “Allepoca non cerano gli uffici stampa e tutta la macchina promozionale: se un attore o unattrice volevano guadagnarsi articoli o una copertina, la sbronza e la scazzottata erano la soluzione”. È docente honoris causa in fotografia presso la Xian International University di Shaanxi, in Cina. E commendatore dellOrdine della Repubblica Italiana. “Oggi è tutto diverso – commenta Barillari – prima, se ad esempio cera un terremoto, il tuo dovere era precipitarti sul luogo della sciagura, perché era quello che ti chiedeva il giornale. Adesso le immagini te le mandano direttamente i Vigili del fuoco, la polizia, la Guardia di Finanza. A noi erano richieste velocità e verità, se non arrivavi di corsa al giornale con le foto non ti facevano entrare. Oggi alla verità non ci arrivi più per primo, con gli smartphone sono diventati tutti fotoreporter”. La differenza con il passato è anche sentimentale: “Un tempo nelle case cerano gli album delle foto, ogni tanto rivedevi i tuoi genitori, i nonni, le foto della prima elementare e ti emozionavi. Il mondo è più veloce ma senza cuore. Oggi ti svegli al mattino, ti si è rotto il telefono e hai perso tutto. Se dovevano ancora pagare sviluppo e stampa, voglio vedere se diventavano tutti fotografi…”. Le donne? “Non ci sono più le dive, quelle belle davvero a tutte le età. Come Virna Lisi, Scilla Gabel, la Magnani. Oggi sono tutte rifatte, con quei labbroni… Tutte uguali. Certe volte le confondo”. Lo scatto o loccasione di cui va più fiero? “Non ce nè uno in particolare. Sono momenti. Un fatto di cronaca è importante nel momento in cui accade. Domani ce ne sarà un altro. Lorgoglio era avere lesclusiva. Quella sì che era una soddisfazione, arrivare al giornale con una cosa solo tua”. E la foto-rimpianto, che avrebbe voluto fare e non cè riuscito? “Papa Giovanni Paolo II al Gemelli, dopo lattentato. Ero arrivato vicinissimo alla sala operatoria e lo stavano per portare proprio lì, in barella. Mi ero nascosto, ma mi hanno scoperto. E mhanno gonfiato di botte”.