(Adnkronos) – “Oltre a pensare di tenere o togliere le mascherine negli ospedali e a reintegrare i medici che non si sono vaccinati, chiediamo al ministro di pensare anche a quei camici bianchi che non ce l’hanno fatta e che, senza neanche avere la possibilità della vaccinazione, hanno continuato a lavorare” durante l’emergenza pandemica “e poi purtroppo sono venuti a mancare. Questa è una cosa su cui vogliano andare a interfacciarci con il nuovo ministro della Salute”, Orazio Schillaci. A spiegarlo all’Adnkronos Salute è Gennaro Avano, presidente dell’associazione ‘Medici a mani nude’ e figlio di Mario Avano, medico di medicina generale ed endocrinologo molto noto nel quartiere in cui operava a Napoli, stroncato dal coronavirus il 21 dicembre 2020. “Sicuramente avremmo piacere ad avere un incontro con il ministro, se ci fosse la possibilità – aggiunge – e discutere riguardo a queste misure che ancora mancano, nonostante la pandemia sia ormai passata in secondo piano rispetto a tanti altri argomenti”.
“Questi medici, e sono tanti, hanno perso la vita in pandemia e i loro familiari vorrebbero vedere riconosciuto il loro sacrificio”, dice Avano. Sugli indennizzi ai familiari dei camici bianchi vittime del virus “siamo ancora fermi. C’è stata un’ultima interrogazione parlamentare prima che cadesse il Governo, a cui l’ex ministro Roberto Speranza ha risposto dicendo che avrebbe a breve predisposto un decreto attuativo e sarebbe stato più chiaro con quelle che erano le misure del provvedimento che veniva emanato. Poi, in realtà, c’è stato l’avvicendamento al Governo e siamo ancora tutti in attesa di sapere come si vorrà muovere il nuovo esecutivo. Da qui la nostra richiesta al ministro di tenere in considerazione anche questo tipo di argomenti e questo quesito che poniamo oggi a lui che prende l’incarico alla Salute”.
“Teniamo a ricordare – conclude – che per i medici di base e i pediatri di libera scelta non è stato riconosciuto niente, nemmeno dal punto di vista assicurativo. Perché le assicurazioni private riconoscono Covid come malattia e non come infortunio, e questi medici, essendo lavoratori parasubordinati e non subordinati” non rientrano nelle tutele Inail. “Sicuramente ci sarebbe bisogno di una risposta da parte dello Stato perché questi professionisti hanno agito proprio per cercare di dare risposte, di contenere la pandemia e di ridurre le ospedalizzazioni. E soprattutto gli è stato chiesto di fare delle cose non previste dal contratto, come i tamponi agli insegnanti durante il periodo del primo lockdown, poi le vaccinazioni anti-Covid, e una serie di cose che li hanno esposti al virus e in alcuni casi a perdere la vita”.
Il reintegro dei sanitari no-vax? “I nostri cari si sarebbero vaccinati”
Il reintegro degli operatori sanitari sospesi perché non vaccinati contro Covid? “E’ una questione diversa e più politica che non ci sentiamo di commentare. Quello che possiamo dire è che, se i nostri genitori e parenti” uccisi da Sars-CoV-2 mentre facevano il loro mestiere di medici di famiglia e pediatri in piena emergenza pandemica “avessero avuto la possibilità di fare il vaccino, lo avrebbero fatto per tutelare la loro salute e quella dei loro familiari. Ma per loro non c’è stata proprio questa opportunità. Adesso invece i medici potrebbero utilizzare questo mezzo per stare un po’ più tranquilli ed evitare un epilogo grave come è stato quello dei nostri cari e sarebbe davvero un peccato non sfruttarlo”, riflette Avano.
“Mio padre sicuramente si sarebbe vaccinato – dice Gennaro – e per poco non ci è riuscito, perché è morto a dicembre 2020 e da lì a poco sarebbe partita la campagna vaccinale”, appena 6 giorni dopo, il 27 dicembre. “Lui avrebbe fatto poi i richiami, come li abbiamo fatti tutti quanti in famiglia – aggiunge – E sul fatto che è stato dimenticato il sacrificio suo e di tutti gli altri colleghi, avrebbe detto che è la solita storia italiana: nel momento in cui le cose servono e c’è una certa attenzione puntata, se ne parla. Poi, quando ormai è fatta, ci dimentichiamo rapidamente in pochissimo tempo di tutto. E il problema resta di chi ce l’ha. Questo sarebbe stato il suo commento”.
Adesso, piuttosto, “il ministro” della Salute Orazio Schillaci “dovrebbe e potrebbe porre all’ordine del giorno, tra le misure da prendere in considerazione, quella di continuare il lavoro che si stava già facendo con il precedente ministro, Roberto Speranza, di dare delle risposte a queste famiglie di medici deceduti durante la pandemia”, sottolinea Avano che, quando pensa al padre e agli altri medici morti ‘sul campo’, dice che “non avrebbero rimpianti perché hanno fatto il loro lavoro fino alla fine, e quello era il loro obiettivo. Sarebbe stato il pensiero anche dei suoi colleghi”.
“Siamo un’associazione che raccoglie più 50 famiglie e abbiamo raccolto il pensiero di questi familiari – continua Avano – Quello che è emerso è che tutti questi medici facevano il loro lavoro con passione e devozione massima verso la professione. Tanto è vero che in comune avevano il fatto di non aver mai chiuso i loro studi e di aver continuato a fare il loro mestiere, a differenza di altri che hanno interpretato quel momento storico in maniera diversa, chiudendo gli ambulatori, evitando di fare visite. Tutti questi medici abbiamo riscontrato che si sono spesi per la causa”.
C’è chi ha perso il proprio padre o marito nel giro di 48 ore e non ha ancora superato la perdita, e dice che, più che eroi come sono stati chiamati, questi medici “sono martiri”. E c’è chi si è trovato di colpo senza il capofamiglia, e magari poteva fare affidamento solo sul suo stipendio per andare avanti. “La sensazione è che stiamo un po’ dimenticando – osserva il presidente di Medici a mani nude – Sembra che il problema sia passato. La situazione appare migliorata, ma non dobbiamo neanche dimenticare che per arrivare a questa condizione siamo passati per una fase in cui invece tante persone sono morte, compresi medici che hanno cercato di lavorare affinché meno persone morissero e affinché si riuscisse ad avere una situazione a livello ospedaliero più gestibile”.
“Non dobbiamo quindi dimenticare – è il monito di Avano – Va bene il Giorno della memoria per le vittime del Covid, ma poi queste famiglie, che sono parecchie, vogliono anche delle risposte concrete da parte di chi di dovere”.