Quando sorride il campo si allarga e scava nuove traiettorie. Quando si rabbuia, e gli succede ancora troppo spesso, le linee gli mordono i piedi e sembra non vedere l’ora di liberarsi della palla. Felipe Anderson è così, lo è sempre stato. Un fortissimo umorale. Un meteoropatico del pallone, capace di scalzare tutti quando indovina la partita giusta, da mani nei capelli quando gli va storta.
Si diceva più o meno la stessa cosa di Alen Boksic, un altro che del talento ha fatto il suo pane. Si diceva questo: se indovina la prima giocata la Lazio è la sua partita, altrimenti è come giocare con un uomo in meno. E’ più o meno quello che succede a Felipe: lo si capisce subito quando può correre fino in cima al mondo o quando si fermerà di fronte alla sua paura.
Nel derby ha indovinato tutto, non ha sbagliato niente. Si è mangiato la fascia, si è mangiato anche Vina e tutti quelli che gli capitavano a tiro. Ha fornito un assist e segnato il gol della (quasi) sicurezza. E’ questo il vero Felipe? Se lo chiedono tutti da anni. Sarri spera di sì. “E’ troppo forte per sprecare il suo talento”, ha detto l’allenatore.
Mau se lo ricordi fin dai tempi della Lazio di Pioli, quando Felipe era uno dei migliori esterni d’Italia, forse d’Europa. Poi si è rattristato, ingrigito, ha perso i colori e anche la strada. S’è smarrito tra Inghilterra e Portogallo, Sarri spera di fargli ritrovare il sorriso ancora a Roma. Per ora è stato il brasiliano a far ridere la Lazio. Ha fatto il Felipe nella partita più importante. Può riuscirsi sempre, quando ride non lo ferma nessuno.