Estate 2004, la preoccupazione dilagava tra i tifosi della Lazio. La storica società biancoceleste era senza proprietario e vicina al fallimento a causa di ingenti debiti. La svolta è arrivata il 19 luglio di quell’anno, quando Claudio Lotito rilevò il club per una cifra vicina ai 18 milioni, facendosi carico del debito accumulato dalla precedente gestione e corrispondente a circa 150 milioni di euro.
All’epoca Lotito non era il vulcanico presidente diventato oggi uno dei più influenti nel panorama calcistico italiano, ma un oculato e schivo imprenditore romano con le idee ben chiare. Così ottenne, grazie al cosiddetto Decreto salva-calcio approvata dal governo Berlusconi, la rateizzazione in 23 anni del debito pregresso con l’Agenzia delle Entrate.
Inizia così la gestione dell’attuale presidente biancoceleste. Prima amato, poi contestato per lunghi anni, ora apprezzato per i fatti e non più per i proclami. Un cammino lungo 16 anni che ha portato la Lazio a diventare una delle società più in salute a livello di bilancio di tutta la Serie A. Una scalata che ha prodotto anche successi sportivi, il massimo che si possa chiedere ad un presidente quindi: vincere e mantenere il bilancio in attivo.
Come racconta L’insider che ha studiato passo passo il progetto di Lotito, capace di portare la Lazio in Champions League e vicina ad una storica qualificazione agli ottavi della competizione che manca al club ormai da più di 20 anni. “Ho preso questa squadra al suo funerale e l’ho portata in condizione di coma irreversibile. Spero presto di renderlo reversibile”, una delle frasi più rappresentative del presidente biancoceleste.
“Quando ho preso in mano la società, la Lazio aveva 84 milioni di ricavi, ne perdeva 86,5 e aveva 550 milioni di debiti. Ho portato nella realtà sportiva mentalità e organizzazione: non sono un tifoso presidente ma un presidente tifoso”, ha ricordato Lotito.
Ma qual è il segreto del suo successo imprenditoriale? La risposta, come spiega ancora L’insider, è da ricercare nell’attenta gestione societaria, sempre volta al raggiungimento del risultato sportivo (3 Coppe Italia e 3 Supercoppe Italiane) con un occhio fisso al bilancio. Negli ultimi 16 anni, infatti, la Lazio ha chiuso in passivo solo in cinque occasioni (le ultime due nelle stagioni 2018/19 e 2019/20).
Un’escalation di risultati resa possibile dall’accurata scelta di collaboratori fidati. A partire dal direttore sportivo Igli Tare, ormai insostituibile braccio destro del presidente. Con lui la Lazio ha operato colpi di mercato di altissimo profilo senza spendere cifre esorbitanti.
Così Tare, dotato di grande fiuto per il talento, è capace di scegliere in giro per l’Europa calciatori non sempre affermati che si rivelano poi veri e proprio top player. Gli ultimi esempi in questo senso portano a Milinkovic-Savic e Luis Alberto, arrivati alla Lazio, uno come oggetto misterioso, l’altro come talento inespresso, e ora tra i migliori centrocampisti del campionato.
Per non parlare di Immobile: arrivato a Roma dopo alcuni fallimenti in giro per l’Europa e attuale Scarpa d’Oro europea. Grazie a questi attenti acquisti la Lazio ha saputo garantirsi ingenti plusvalenze in grado di incider positivamente sul bilancio nel corso degli anni.