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    La vita straordinaria di Gianluca Vialli nella serie original di Sky ‘L’uomo della domenica’

    (Adnkronos) – “Vialli era un centravanti formidabile. Uno spirito libero, sempre con la vista sul domani. Era un uomo di sport dalle radici purissime. Era ‘Stradivialli’, come l’aveva soprannominato Gianni Brera, sia coi gol che con le parole. Capace, fino alla fine, di lanciare messaggi potenti, persino poetici”. È il 6 gennaio 2023. Giorno crudele. Gianluca Vialli ha appena perso la sua partita più importante, quella per la vita. E Giorgio Porrà, giornalista di Sky, collega e amico, dedica a lui questo ricordo commosso, in diretta tv. “Vialli era un meraviglioso essere umano”. A pochi giorni dal primo anno dalla scomparsa del grande calciatore della Samp e della Juve, Sky racconta la straordinaria storia di vita e di sport di Vialli, attraverso una serie originale, ideata e scritta dallo stesso Porrà. E’ ‘L’uomo della domenica, Gianluca Vialli – Confesso che ho vissuto’, in onda dall’8 dicembre sulle reti sport della piattaforma.  

    Porrà spiega all’Adnkronos come è stato raccontare il genio di Gianluca Vialli. “Complicato, dal punto di vista emotivo. Ha passato con noi quindici anni. Quindici anni nei quali si sono strette delle grandi amicizie nel percorso professionale all’interno di Sky”. Gianluca era un uomo dotato di mille talenti. “E tra questi c’era anche quello del comunicatore. Qui da noi ha affrontato qualunque ruolo: conduttore, commentatore, seconda voce, testimonial delle promozioni pubblicitari. Con me ha addirittura fatto anche il recensore letterario in un programma si chiamava ‘Lo sciagurato Egidio’”. Vialli ha sempre saputo coniugare l’espressività più profonda a quella più leggera. “Era uno dei pochi ex campioni capaci di interpretare bene il ruolo televisivo. Si era formato sul modello della tv britannica, e quindi la sua missione era quella di irrorare positività in qualunque tipo di racconto. E lui tutte queste cose le ha fatte molto bene, alternando la chiacchiera da bar all’analisi tecnica molto approfondita”.  

    Nel ricordo di Porrà, Vialli appare come un professionista preciso, perfezionista. “Lo è sempre stato, sin da quando era un ragazzino. E anche in questa nuova dimensione professionale si applicava in modo feroce. Era capace di ragionare per ore anche soltanto attorno alla parola giusta da dire”. Una regola televisiva invidiabile, in un tempo in cui la velocità divora tutto. “Gianluca diceva solo parole che erano in grado di migliorare il silenzio. Devo dire che è stato atipico anche in questo, vista la quantità di parole inutili che circolano nel chiacchiericcio mediatico. Gianluca si distingueva anche in questo”. Sky ha anticipato la messa in onda qualche settimana prima del primo anniversario della morte. “Perché il desiderio di raccontarlo era troppo grande”, chiarisce Porrà. “Non è stato facile scegliere i toni, scegliere i contenuti. Bisognava approcciare questa cosa con estrema cautela, con estrema sensibilità”. Perché Gianluca Vialli è destinato a sottrarsi a ogni forma d’oblio. “La sua figura si ingigantirà nel tempo. Il racconto della sua vita non poteva essere banale, ma doveva essere estremamente attento”. Una cura che Porrà, insieme agli altri autori, ha messo nella ricerca e nella raccolta delle testimonianze. “Abbiamo scelto solo quelle che ci sembravano più adatte”. 

    A dipingere il ritratto di Vialli ci sono Marcello Lippi, Alessandro Del Piero, Francesca Mantovani, “che è la figlia di Paolo, mitico presidente della Sampdoria”. E poi, a raccontarlo, c’è uno dei suoi amici più leali e fraterni. “Massimo Mauro. Con lui, Vialli aveva condiviso un impegno di filantropia, legato alla fondazione per la ricerca sulla Sla, la Sclerosi Laterale Amiotrofica”. Uno dei grandi progetti virtuosi che l’ex calciatore aveva seguito per tanti anni. “In puntata Massimo lo dice: il posizionamento di questa fondazione è tutto merito di Gianluca, che si è speso tantissimo. E naturalmente la speranza è che si riesca a trovare, prima o poi, una cura per la Sla, malattia infame”.  

    Il docufilm narra non solo gli episodi più inediti della vita personale di Vialli, ma anche quelli dei suoi più luminosi successi sportivi. Come i trofei conquistati negli anni ’90: dallo scudetto doriano alla Champions con la Juve. “E poi ci sono i gol di Gianluca. Invito tutti a rivedere i gol di Gianluca, perché lì dentro ci sono le sue profondità. È come se Gianluca ci dicesse ‘date un’occhiata ai miei gol, non perdete tempo altrove. Se volete capire qualcosa di me, guardate i miei gol e guardate come me li cucio addosso’”. Nel racconto c’è anche il capitolo più doloroso, quello della malattia al pancreas, scoperta nel 2017. Vialli la chiamava col nome vero e più crudo, “cancro”. Senza usare troppi giri di parole. Senza timore di cadere nel tabù. Un modo dignitoso di affrontare il male. “Direi rivoluzionario, perché ci ha spiegato tante cose. Ci ha spiegato che pure una diagnosi nefasta non può uccidere le tue passioni, la tua quotidianità, la tua normalità, i tuoi affetti. E lui, fino all’ultimo, ha vissuto questa cosa con la leggerezza e il sorriso”.  

    Tra i ricordi personali più forti di Vialli che Porrà conserva nel cuore, c’è una finale di Champions commentata insieme. “Eravamo a Madrid. C’era con noi anche Paolo Rossi, un altro essere umano meraviglioso che ci ha lasciato troppo presto. Lì ci eravamo divertiti moltissimo. Ricordo che nel pre-partita c’era stata anche un’irruzione di Fiorello nello studio”. Ma di lui rammenta anche le lezioni professionali, distribuite lungo il percorso fatto insieme. “Ricordo che una volta mi fece una paternale per aver parlato in modo poco lusinghiero dell’azienda con alcuni estranei. Era il suo modo di esprimere la leadership, non soltanto in un campo di calcio, ma anche in altre dimensioni professionali. Gianluca era questo qui”. Nel sottotitolo della serie, c’è una frase: ‘Confesso che ho vissuto’. È il titolo di un romanzo di Pablo Neruda, pubblicato postumo nel ’74. Un libro di memorie e ricordi, “che sono discontinui e a tratti si smarriscono, perché così appunto è la vita”, aveva scritto nella prefazione il poeta cileno. “La mia vita è una vita fatta di tutte le vite: le vite del poeta”. Porrà ha voluto inserire questo riferimento anche al nome del docufilm. Perché anche Gianluca Vialli era un poeta. (di Marco Di Vincenzo)