“A quel tempo tutto quello che facevamo era stare seduti e studiare. Ci insegnavano che Kim era un dio, e per questo dovevamo essere pronti a morire per lui. Ci chiedevano ’chi è il tuo nemico?’, prima di sparare rispondevamo che erano gli Usa e le forze della Corea del Sud. Era così ogni giorno. Allora non avevo contatti con gli altri Paesi e di America non sapevo nulla, per cui quelli erano i nemici da combattere con le armi. Dopo sei mesi eravamo quasi tutte malnutrite, ma non potevamo lamentarci e chiedere un cibo migliore, o sull’assenza di acqua calda per potersi lavare e pericolosa da bere. L’acqua infatti proveniva direttamente da un ruscello di montagna, a volte insieme a lei arrivavano anche rane e serpenti, accettuando i problemi di salute derivanti dalla malnutrizione. Era difficile per una donna soldato, perché dopo sei mesi o un anno abbiamo smesso di avere le mestruazioni a causa dello stress e della scarsità di cibo. Alcune erano felici di non averle perché le condizioni di vita erano talmente brutte che avere il ciclo sarebbe stato peggio. Il problema più grande che si trovano ad affrontare le donne soldato in Nord Corea è la violazione dei diritti umani. Il più comune è l’aggressione sessuale e lo stupro. A me non è accaduto, ma il comandante della compagnia restava ore nella stanza della truppa violentando le donne che erano sotto il suo comando. Poteva accadere tre volte l’anno, in diverse unità. Allora il problema della violenza sessuale sulle soldatesse non era qualcosa di cui i vertici si preoccupavano o provavano a risolvere. Ma erano le vittime a pagare: potevano essere rimandate a casa o potevano bloccarne una promozione. Succedeva spesso, e ci chiedevamo chi ci avrebbe protette all’interno dell’esercito mentre eravamo separate dalla nostra famiglia. Gli ufficiali sarebbero dovuti essere i nostri supervisori, ma gli stessi supervisori abusavano delle soldatesse. Tutto questo mi trasmetteva ansia e stress”. Sembra la sceneggiatura di un film horror, ma in realtà è il terribile racconto di di Lee So Yeon, che ha raccontato la sua odissea alla Bbc. Prima, dai 17 ai 28 anni, soldatessa nordcoreana, quindi detenuta per aver tentato di fuggire dall’esercito di Kim Jong-un, ed infine – a 30 ani – finalmente libera, dopo esser riuscita a a raggiungere la Corea del Sud. A raccogliere le parole della reduce del regime è la Bbc, che l’ha intervistata il 28 settembre scorso e che ha recentemente rilanciato l’intervista. Come molte altre sue coetanee Lee So Yeon fu costretta giovanissima a scegliere la vita militare come volontaria per aiutare economicamente la famiglia. Di certo non poteva immaginare a quale incubo sarebbe andata incontro. E questo sottolinea anche il grado di menefreghismo ed ignoranza che dtermina l’esercito nordcoreano, allevato all’odio attraverso la cultura del nemico da combattere.
M.