Se c’è una regione che, a dispetto delle altre, ha sempre camminato dritto senza mai voltarsi indietro questa è la Lombardia. Una regione che negli anni, sotto l’egida del dislocamento economico, ha lentamente eretto intorno ai suoi confini la maggior parte delle attività produttive del Paese.
Un ‘disegno’ ben preciso, reso possibile anche grazie a una ‘politica territoriale’ – spesso esercitata sconfinando nell’integralismo locale, vedi la prima Lega, comunque avallata dallo Stato centrale – seguita poi da una cocciuta ‘milanesizzazione’, iniziata con l’accentramento del ‘mercato’ televisivo (l’avvento di Cologno Monzese, le concessione, i diritti tv, decoder, ecc.), poi discografico (fino alla chiusura totale del colosso Rca nella Capitale), ed infine della Moda. Gli stessi media hanno trovato subito la migliore ospitalità nel cuore lombardo della produzione. La cosa più intelligente, e naturale, è stata poi quella di intrecciare il tutto, per costruire infine una sorta di ‘iper-promosso’ bazar delle Mille e una notte’. Basterebbe guardare alla pioggia di miliardi piovuti per un Expò farraginoso e poco redditizio.
Insomma, dagli anni ’90 (coincidenze?), la Lombardia ha iniziato a perseguire il disegno di ‘regione perfetta’ e, alla fine, spesso sfiorando l’arroganza ed il cinismo, ci è riuscita veramente.
Ora però ci si è messo di traverso il coronavirus. Non sappiamo il perché – non spetta certo a noi dirlo – fatto sta che la spaventosa mole di contagi ha attecchito per lo più proprio in questa regione, facendo una strage di anziani, e bloccandone l’economia. Qui, come poi scopriremo nelle settimane dopo, il grosso errore è stato proprio quello di non intervenire da subito sul tessuto produttivo, tentando di contrastare la prima ondata con rigide e severe regole di sicurezza sul lavoro, evitando così l’improvviso blocco di ‘qualsiasi’ attività industriale.
Non sappiamo se per fortuna, clima, o capacità, tolte le regioni fisicamente limitrofe come Veneto, Piemonte ed Emilia, la maggior parte delle altre regioni hanno invece avuto sorti decisamente migliori. Il Lazio e l’affollatissima Capitale hanno retto benissimo la botta, per non parlare del Sud dove, Puglia in primis, si era temuto per l’arrivo di quanti ‘fuggiti’ dalle località lombarde per far ritorno ‘a casa’.
Nonostante il lockdown imposto dal governo, ed il conseguente ‘allentamento’ – almeno – dell’emergenza ospedaliera, tuttavia in Lombardia la situazione continua a non ‘allinearsi’ al resto del Paese. Ancora oggi la metà dei contagi e dei decessi di tutto il Paese, sono infatti lombardi. Ieri ad esempio lo stimato pneumologo Luca Richeldi, membri del Comitato scientifico chiamato ad affiancare il governo, ha ribadito che ancora oggi “la Lombardia è l’epicentro dell’epidemia”. Questo ieri. Oggi però i dati della Protezione civile hanno informato del record dei 4mila guariti da ieri in Lombardia, quasi un miracolo.
Intanto però si avvicina il ‘fatidico’ 18 maggio quando, più o meno, verificato dal Comitato il miglioramento globale del quadro epidemiologico, la maggior parte delle regione italiane – sebbene con prudenza e mille accortezze – torneranno a vivere normalmente.
Una riapertura che, proprio per quanto scritto, non è detto che valga anche per la Lombardia, ancora protagonista di migliaia di contagi quotidiani. E qui il problema diviene inevitabilmente politico proprio perché, come spiegato, oggi Lombardia fa rima con ‘produttività’ , e con il Paese fermo, un governo ‘generoso’, capace di distribuire denaro come fosse il ‘pozzo di San Patrizio’ (nonostante il debito pubblico schizzato ad oltre il 160%), qui se non si ‘lavora’ moriamo tutti di fame. Ma, ci domandiamo, tolta la ripresa delle attività produttive come aziende, fabbriche e mega imprese, la Lombardia non dovrebbe continuare ad osservare almeno un altro paio di settimane di ‘quarantena’ prima di rischiare una nuova emergenza?
Un argomento che, almeno al momento, non sembra interessare nessuno più di tanto. Tanto è che, penaste un po’, oggi ‘l’invincibile’ governatore Fontana è riuscito persino a paragonare Palermo a Milano, pur di aver ragione della sua smania di tornare a ‘produrre’. ’’Per le riaperture serve una linea comune o si rischia un grosso pasticcio – ha infatti esordito il governatore lombardo – Il 18 maggio è vicino e non possiamo correre il rischio che le regole per mangiare una pizza a Palermo siano diverse da quelle di Milano” dunque, ha poi aggiunto promuovendo un’accorata unità d’intenti con le altre regioni, in passato mai manifestata: ’’Siamo al lavoro per dare una proposta comune al governo”.
A dare ‘speranze’ al presidente del ‘Pirellone’ spiega egli stesso, è che ”il governo si dice disponibile a un tavolo per affrontare la questione della differenziazione dell’orario di lavoro. Di questo oggi non abbiamo trattato ma c’è la disponibilità dell’esecutivo ad affrontare la questione di come spalmare l’orario di lavoro che è collegato alla questione del trasporto pubblico locale. Una decina di giorni fa – aggiunge Fontana – ho mandato una lettera e ora mi si dice che presto potrebbe esserci un provvedimento del governo che stabilisce differenziazioni per l’inizio dell’orario di lavoro’’, afferma quasi stupito. Poi ribadisce ancora una volta che ”Il 18 maggio è vicino, alle 17 ci incontriamo con le altre Regioni così da arrivare a un documento che possa riassumere le esigenze di tutti, rispettando le indicazioni del governo che si è detto disponibile’’. Speriamo si rispettino si le esigenze di tutte le regioni ma, vista la situazione contagi, ancor più la salute degli amici milanesi. Intendiamoci, tutto ciò sempre che il Comitato scientifico non sbagli indicando la situazione lombarda come ‘preoccupante’…
Max