(Adnkronos) – Furti conclamati, veti incrociati, ricatti più o meno espliciti. Intorno al grano si è aperta una guerra parallela a quella che da più di cento giorni si combatte in Ucraina. La Russia fa il suo gioco sporco. Controllare il grano ucraino, sottrarlo ai suoi abituali canali di esportazione e dirottarlo altrove consente di esercitare una pressione importante su buona parte del mondo. In gioco c’è la sopravvivenza di popolazioni intere, soprattutto in Africa, oltre alla tenuta dell’economia globale e alla gestione dei flussi migratori, e le capacità negoziali di Mosca crescono in maniera proporzionale all’acuirsi della crisi alimentare. Altri attori, a partire dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan, vogliono girare lo stallo a proprio vantaggio.
Nel ruolo di mediatore, il presidente turco vuole sbloccare la trattativa per aprire un varco all’export ucraino e presentarsi alla comunità internazionale come il leader che ha contributo a evitare una crisi alimentare globale. Non solo, le mire di Erdogan si intrecciano con l’intenzione di una nuova operazione in Siria contro i curdi, per cui serve il via libera di Mosca, e anche con il dibattito in corso sull’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, che Mosca ovviamente avversa. La visita del ministro degli Esteri russo, Serghej Lavrov, ad Ankara e l’incontro con il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu, è l’occasione per mettere le carte sul tavolo e far valere le proprie ragioni.
L’ipotesi spinta da Instanbul prevede un corridoio protetto dalle navi turche che garantisca il passaggio dei mercantili da Odessa verso il Mar Nero e fino alle acque internazionali. Già riducendo la questione a questo schema minimo, le incognite sono evidenti. Da una parte, ci sono tutte le difficoltà di arrivare a un accordo che preveda il via libera di due parti che si stanno combattendo duramente sul campo e che non hanno alcuna intenzione di concedere aperture in bianco. Dall’altra, c’è la delicatezza di un negoziato che va a incidere in maniera sostanziale sugli equilibri di un’area strategica per diverse implicazioni geopolitiche rilevanti.
Ci sono i timori di Kiev, che non può sottostare a soluzioni che ne riducano ancora di più la sovranità. Ci sono i timori della Nato e dalla comunità occidentale, che vedono il rischio di dare ulteriore forza a Mosca, e anche a Istanbul. La domanda che ricorre è: fino a che punto può arrivare il ricatto della Russia?
Intanto, il tempo passa. E quello che stanno facendo mortai e carrarmati in Donbass, portando distruzione e morti, lo sta facendo fuori dall’Ucraina una prolungata carenza di grano. La condanna internazionale serve ma di certo non basta. Le parole del ministro degli Esteri Luigi di Maio, in conferenza stampa con il direttore generale della Fao, Qu Dongyu, alla Farnesina, descrivono bene il quadro. “Dalla Russia ci aspettiamo segnali chiari e concreti, perché bloccare le esportazioni del grano significa tenere in ostaggio e condannare a morte milioni di bambini, donne e uomini lontano dal fronte del conflitto. La Russia, usando il cibo come arma di guerra, si sta macchiando di altri crimini, che si aggiungono alle atrocità già commesse sul suolo ucraino e che sono sotto gli occhi di tutti”.
Il problema, sostanziale, è che è probabile che i segnali chiari e concreti possano arrivare solo a fronte di concessioni sempre più consistenti. Altrettanto rilevante è il fattore tempo. Perché, come ha evidenziato la ministra alla Cooperazione e al Commercio della Germania, Svelja Schulze, “la ingiustificabile, non provocata e illegale guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina sta interrompendo la produzione agricola, le catene di rifornimento e il commercio e sta portando i prezzo del cibo e dei fertilizzanti a un livello senza precedenti”.
La guerra del grano va chiusa in fretta, e con una tregua che consenta di trovare una soluzione, senza cedere fino in fondo al ricatto della Russia e lasciando un margine aperto per arrivare a una pace sostenibile in Ucraina.
(di Fabio Insenga)