(Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) – Attacca a muso duro i tre magistrati che si occuparono dell’inchiesta sulla strage di Via D’Amelio, l’avvocato Fabio Trizzino, legale di parte civile della famiglia Borsellino, nel processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Alla sbarra ci sono tre poliziotti: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di avere indottrinato il falso pentito Vincenzo Scarantino per accusare degli innocenti. Parole dure come pietre, contro i magistrati Carmelo Petralia e Annamaria Palma, entrambi assolti dall’accusa di calunnia aggravata in concorso e al consigliere del Csm Antonino Di Matteo. Cita una canzone di Fabrizio De Andrè, per dire che “per quanto loro si possano credere assolti, riteniamo che siano lo stesso per sempre coinvolti”. In altre parole, anche sei i tre magistrati non sono finiti sotto processo per la gestione del falso pentito Vincenzo Scarantino che ha accusato ingiustamente degli innocenti poi condannati all’ergastolo, secondo la famiglia Borsellino, avrebbero avuto un ruolo nel “depistaggio” e per questo “dovrebbero chiedere scusa”.
Immediata la replica di uno dei tre pm attaccati. A parlare con l’Adnkronos è l’ex Procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia. Che, tirato in ballo, dice: “Il fair play non è una dote che può esigersi in chi ha subito lutti gravissimi, ma altra cosa è il rispetto delle regole dello Stato di diritto. Ciò vale per le parti private, ma ancora di più per chi rappresenta la parte pubblica. In nome di chi viene chiesto scusa, mi domando. In nome di quei magistrati che ostinatamente sono stati accusati, perseguiti e processati per poi venire assolti con una motivazione che non ha lasciato spazio a ombre o sospetti? O in nome addirittura del giudice che li ha giudicati e assolti? O in nome della procura competente per questo giudizio che non ha impugnato la sentenza? Forse qualcun altro avrebbe avuto il diritto di esigere delle scuse, ma il fair play e comunque il rispetto per il dolore di una famiglia atrocemente colpita glielo hanno impedito”. Di Matteo, contattato dall’Adnkronos, ha preferito non replicare.
Trizzino usa parole dure, dall’inizio alla fine del suo intervento. Se la prende con i magistrati, con i poliziotti. A loro, gli imputati, tutti e tre presenti in aula, si rivolge direttamente chiedendo “di dire tutta la verità”. “Dite la verità, dovete raccontare quello che è accaduto. A me dispiace che siete solo voi a pagare, ma c’è stata omertà e negligenza, un atteggiamento perfettamente sovrapponibile all’associazione mafiosa”, esorta Trizzino. E dice: “Perché Bo è stato fatto venire da Volterra, dove era in un anonimo commissariato? E perché altri tre funzionari sono scappati? Perché Salvatore La Barbera, Claudio Sanfilippo e Luigi Savina non hanno accettato l’incarico al Gruppo Falcone e Borsellino? Chissà cosa hanno visto e non ci hanno raccontato…”. Poi aggiunge: “Definire questo processo ‘epocale’ è anche riduttivo”, dice. E aggiunge: “Il pm Stefano Luciani all’inizio della requisitoria ha ritenuto di chiedere scusa alle parti civili presenti, io vorrei rassicurare il dottor Luciani che non è lui che deve chiedere scusa, perché ha dato un contributo fondamentale per almeno 13 anni alla ricostruzione di questi eventi così dolorosi – spiega l’avvocato Trizzino – Sono altri i pm che avrebbero dovuto chiedere scusa. Scuse mai arrivate” e il riferimento è proprio a Di Matteo, Palma e Petralia. “Nonostante noi crediamo che loro siano in qualche modo convolti nel confezionamento di quello che è stato definito nella sentenza ‘Borsellino quater’ come uno dei ‘più grandi depistaggi’ della storia giudiziaria italiana”. Presente in aula anche Manfredi Borsellino, èer la seconda volta venuto al processo dal suo inizio, per seguire l’arringa del cognato. Perché Trizzino è il marito di Lucia Borsellino.
“Mi rendo conto che è un’affermazione forte e dolorosa- dice Trizzino- ma visto il contegno tenuto nel corso del loro esame, per quanto riguarda la dottoressa Palma e Petralia come indagati di reato connesso, e il dottor Di Matteo, noi diciamo che ‘per quanto loro si possano credere assolti, riteniamo che siano lo stesso per sempre coinvolti’, e lo dimostrerò nel corso di questa arringa la validità”. L’avvocato cita il testo di una canzone di Fabrizio De Andrè, ‘Canzone del maggio’, che recita: “Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostro coraggio, se la paura di guardare, vi ha fatto chinare il mento, se il fuoco ha risparmiato le vostre Millecento, anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”.
“Nell’opera di ricostruzione di ciò che è avvenuto dopo la strage di via D’Amelio, l’approssimazione, le anomalie e negligenze corrispondevano a un disegno criminoso portato avanti da uomini che doveva ricostruire la verità”, dice ancora Trizzino. “E’ stato compromesso il diritto dell’accertamento della verità negli eventi antecedenti e successivi che hanno portato alla strage di via d’Amelio”.
“Questo è un momento doloroso, non è facile prendere atto che componenti della Polizia di Stato, che hanno visto cadere sul campo i propri colleghi, hanno fatto questa scelta. Dovevate profondere un diverso impegno e non farvi coinvolgere in questo disegno criminale che è stato il depistaggio di via d’Amelio”, aggiunge ancora il legale. Che aggiunge: “Nella famiglia Borsellino non c’è desiderio di vendetta ma il desiderio che questi uomini possano riposare in pace. Cercate di recuperare la dignità, diceva Giovanni Falcone”.
Per la famiglia Borsellino “il depistaggio è iniziato già all’indomani della strage di via D’Amelio. La denuncia delle targhe dell’auto venne subito ipotizzata come una simulazione. Per via d’Amelio c’era più tritolo rispetto all’attentato al giudice Rocco Chinnici. Dopo l’attentato al giudice Chinnici si vedeva il vano posteriore della 126 e le targhe rispetto alla vettura utilizzata in via d’Amelio, andata completamente distrutta”. Poi definisce “assurda” l’archiviazione del dossier mafia e appalti chiesta dalla Procura di Palermo nell’estate del 1992 e “fu persino nascosta al giudice Paolo Borsellino”. “Come ci disse in aula l’ex magistrato Antonio Ingroia, Paolo Borsellino all’uscita da una riunione in Procura disse: ‘Voi non me la raccontate giusta’ e poi c’è stata l’archiviazione’. Un’archiviazione avvenuta mentre veniva poi tumulata la salma di Paolo Borselini”. E citando il processo sulla trattativa tra Stato e mafia, di Palermo, dice: “la vera minaccia al corpo giudiziario è il momento in cui il Procuratore Giammanco disse: ‘fermatevi perché ho fatto quello che dovevo fare’. E poi come si spiega quella telefonata del 19 luglio alle sette del mattino? Quasi a presagire l’assassinio…”. Il riferimento dell’avvocato Trizzino è al dossier mafia e appalti che fu tolto dall’allora Procuratore Giammanco al giudice Borsellino e poi fu archiviato nell’estate del 1992, dopo le stragi mafiose. Alla fine del suo intervento una stretta di mano vigorosa e un breve abbraccio con il cognato Manfredi Borsellino. Che ha ascoltato in silenzio, poi ha indossato gli occhiali da sole ed è uscito dall’aula bunker del carcere Malaspina di Palermo, senza dire una parola.
Sempre oggi ha preso la parole l’avvocato Roberto Avellone, legale di parte civile di alcuni dei familiari degli agenti di scorta di Borsellino. “La presenza dei servizi segreti aleggia pesantemente sull’intera vicenda e si pone quale filo conduttore dei misteri ancora irrisolti della strage di via D’Amelio”. “E’ innanzitutto emerso che lo stesso Procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra ha intrattenuto rapporti diretti con il Sisde, nella persona di Bruno Contrada, in relazione alle indagini su via D’Amelio, malgrado la legge all’epoca vigente vietasse qualunque rapporto diretto tra i servizi segreti e magistratura inquirente”, dice.