Una situazione che all’Onu non piace, e che non si è fatto scrupolo a definirla come “il più grande furto della storia”. Del resto i dati parlano chiaro: le donne, mediamente, guadagnano purtroppo il 23% in meno degli uomini. Ragionando sul divario salariale uomo-donna, l’Onu denuncia che, laddove un uomo guadagna un dollaro di contro, una donna percepisce invece 77 centesimi. Vista poi l’esiguità di una politica atta a un livellamento tra i due sessi, continuando di questo passo, per giungere all’agognata parità occorreranno almeno altri 70 anni. Senza entrare nello specifico di quelle motivazioni che ’incorniciano’ e motivano l’esistenza di un simile ’gap’ salariale, risulta purtroppo che nella maggior parte dei casi, a concorrere all’assottigliamento dello stipendio, oltre che l’avanzare dell’età, contribuisce anche la presenza dei figli. Alcune stime rivelano infatti che, rispetto a un uomo, ad ogni nascita mediamente le donne perdono il 4% del loro stipendio. Di contro invece, se tale stima viene letta al maschile, risulta che i neo padri vedono invece il loro reddito crescere del 6%. Ma attenzione, non parliamo di fenomeno italiano ma, diversamente, esteso a livello planetario: l’organizzazione internazionale del lavoro ha infatti rilevato che, nel 2015, la popolazione attiva tra i lavoratori corrispondeva ad un 76,1% composto da uomini, e di 49.6% formato da donne. Queste ultime per recuperare tali distanze dovrebbero lavorare tre mesi in più rispetto agli uomini. Dunque quale è la ricetta? l’Onu indica politiche in favore del part-time, e che semplifichino i congedi parentali e maggiore assistenza per l’infanzia. Ad ongi modo, i dati Ocse spiegano che in Giappone il gap tra uomini e donne è al 25,7%; negli Usa al 18,9%; in Gran Bretagna al 17.1%; e, in Germania, al 15,7%.
M.