L’ODISSEA DI CINQUE DIPENDENTI LICENZIATI SOLTANTO PER AVER CHIESTO LA LORO BUSTA PAGA

Il caporalato non è da intendersi come un fenomeno ad esclusivo appannaggio dei lavoratori nei campi, dove tale reato vira in un vero e proprio schiavismo – ma ovunque venga meno nei confronti del lavoratore dipendente un sano e serio rapporto regolamentato dalle leggi che ne dispongono una regolarità sindacale. Lo sfruttamento però nel nostro Paese è poco denunciato perché, nella maggior parte delle famiglie (inseguite dalla miseria), prevale purtroppo l’amaro il detto ‘meglio pochi e maledetti che morire di fame’. E anche se il caso del quale andiamo a raccontare ha uno svolgimento all’interno di una comunità straniera, ciò non toglie che anche tra gli italiani accadano le medesime cose. La vicenda ha come protagonisti 5 lavoratori italiani i quali, per diversi mesi hanno accettato di lavorare in nero per un centro commerciale di Bagheria (Palermo) gestito da una società cinese. Fino a quando, a seguito di un controllo eseguito dalla Guardia di Finanza, sono stati assunti con un regolare contratto. Ma le cose non migliorate, e quando i 5 hanno ‘preteso’ di avere nelle mani la busta paga, per tutta risposta sono stati licenziati dagli ‘imprenditori’ cinesi. Grazie all’intervento del Tribunale del lavoro di Termini Imerese, nel 2017 i licenziamenti sono stati annullati ed il giudice ha quindi disposto l’immediato reintegro dei cinque dipendenti. Oltretutto, l’azienda è stata condannata a risarcire le retribuzioni nel frattempo maturate. Cosa quest’ultima mai avvenuta, ed i lavoratori hanno quindi avviato delle procedure esecutive contro la società, effettuando dei pignoramenti. Riassumendo l’iter di questi cinque dipendenti, il segretario della Cgil Palermo Enzo Campo e l’avvocato Pietro Vizzini, spiegano che “La battaglia che abbiamo condotto a fianco di questi lavoratori è stata in primo luogo per la difesa del sacrosanto diritto a un lavoro equamente compensato e retribuito. Occorre mantenere alta la guardia per contrastare il mancato rispetto delle leggi in materia di sicurezza, di diritti del lavoratore e di tutela ambientale, che consentono a un’impresa di ridurre i costi di produzione e, quindi, di vendere le proprie merci a prezzi molto più bassi di quelli di mercato”. Un segnale incoraggiante che però, purtroppo, in molti casi non è così semplice, complici le pesanti minacce di ritorsione che moltissimi dipendenti ed operai in Italia sono costretti a subire da ‘imprenditori’ criminali e senza scrupoli.
M.