(Adnkronos) – Con il rinvio del voto sulla contestata e controversa riforma della giustizia, il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha guadagnato tempo, ma molti osservatori ritengono che si sia messo nell’angolo e abbia poche opzioni per uscirne. A meno che, ancora una volta, dimostri di meritare uno dei suoi tanti soprannomi, quello del ‘mago’ capace di capovolgere la situazione all’ultimo.
Il periodo chiave sarà fino al 30 aprile, quando riaprirà la Knesset, e la riforma dovrebbe tornare in calendario. Fino a quel momento c’è tempo per trovare un compromesso sulla riforma giudiziaria, ma non sarà facile trovare una intesa. Se Netanyahu deciderà comunque di andare avanti con la riforma, le proteste riprenderanno. Se invece porrà il freno alla riforma, la sua coalizione di estrema destra rischia di spaccarsi.
Ma non si possono escludere mosse dell’ultimo momento per cercare di capovolgere la situazione. La strategia di Netanyahu si è sempre basata su decisioni all’ultimo minuto e questo rende difficile prevedere cosa farà, dice alla Cnn Aviv Bushinsky, che ha lavorato con lui per nove anni come consigliere per i media. A suo parere. Netanyahu potrebbe cercare ancora di rinviare ancora per un po’ “sperando che le cose si calmino gradualmente”. Dopo tutto, nota Bushinsky, i ministri che avevano minacciato di andarsene, se la riforma non fosse stata approvata subito, alla fine sono rimasti al loro posto. Sempre che non si verifichi una crisi per la sicurezza nazionale, proveniente dall’esterno o legata al conflitto palestinese. In questo caso scatterebbe una reazione di unità, sia nel paese che nel governo.
Non è comunque chiaro se Netanyahu sia veramente intenzionato a trovare un compromesso sulla riforma. “Non ho individuato nessuna indicazione che il primo ministro stia impegnandosi in un negoziato con un vero interesse a raggiungere un consenso”, afferma Yohanan Plesner, presidente dell’Israel Democracy Institute di Gerusalemme. Che fa anche notare come vi sia un ulteriore elemento da tenere in considerazione: la profonda crisi del Likud. Il partito di Netanyahu, rimarca, è rimasto “politicamente ferito”, perdendo legittimità e sostegno anche fra i suoi elettori.
Secondo un commento pubblicato su Ynet, Netanyahu è finito “in una prigione da lui stesso creata”. Dopo la vittoria elettorale si è alleato con l’estrema destra, ritenendola l’opzione più facile da gestire. Ma è una coalizione che finisce per essere troppo autoreferenziale, dove scarseggiano le personalità in grado di avvertire il premier di aver imboccato una strada pericolosa. Ed è così, nota il giornale, che Netanyahu ha ignorato molti segnali di pericolo.