(Adnkronos) – La guerra a Gaza è al centro di una crisi regionale che rischia di esplodere. In Libano Israele ha preso di mira obiettivi degli Hezbollah in profondità nel territorio del Paese dei Cedri dopo ripetuti attacchi del ‘Partito di Dio’. Un banale errore di calcolo potrebbe far sì che la situazione sfugga al controllo. C’è chi ritiene che un conflitto regionale sia già in atto (raid Usa contro obiettivi degli Houthi dello Yemen, attacchi iraniani nel Kurdistan iracheno, in Siria e Pakistan e attacchi delle milizie filoiraniane contro forze Usa in Iraq e Siria).
Le cancellerie sono al lavoro per evitare il peggio in Libano, dove sono dispiegati più di mille soldati italiani nel quadro della missione Unifil. L’obiettivo è ridurre la tensione lungo la Linea Blu di demarcazione tra Israele e Libano.
Ma, stando a un editoriale del Jerusalem Post, non ci sarebbe altro a parte tentativi di americani e francesi per una sorta di soluzione diplomatica che allontani gli Hezbollah libanesi dal confine tra Israele e Libano. “Domina l’ipotesi della guerra tra le previsioni di esperti e analisti”, scrive il giornale libanese Al Joumhouria, secondo cui un ambasciatore di un Paese europeo avrebbe trasmesso avvertimenti alle autorità libanesi perché “la guerra si sta avvicinando al Libano” e siamo quello che la testata definisce un momento “critico”.
Tutto dopo che più di una settimana fa, secondo il giornale libanese Al-Akhbar, l’inviato Usa Amos Hochstein (lo stesso che ha fatto tappa a Roma nei giorni scorsi ed è stato ricevuto da Giorgia Meloni, la quale ha sentito anche il premier libanese Najib Miqati) ha chiesto ai funzionari libanesi l’allontanamento dei miliziani di Hezbollah “sette chilometri oltre la Linea Blu”, con l’esercito di Beirut che andrebbe schierato al loro posto “in modo che” gli israeliani possano tornare nelle loro case nel nord di Israele. Altrimenti, avrebbe detto l’inviato secondo il giornale, “Israele lancerà una guerra contro Hezbollah”. Il ‘Partito di Dio’ sarebbe contrario a ogni arretramento. Israele sembrerebbe pensare a 30 chilometri dal fiume Litani.
E il Jerusalem Post scrive che i funzionari israeliani non credono possano esserci frutti dal lavoro diplomatico in atto, scettici sul fatto che la spola tra Gerusalemme e Beirut dell’inviato Usa o dei francesi possa avere successo. Giovedì prossimo è atteso in Libano il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
“Un ritiro di Hezbollah dal sud del Libano e il suo ridispiegamento a nord del fiume Litani – si legge sul giornale – sarebbe dovuto avvenire più di 17 anni fa” dopo la guerra dei 34 giorni in Libano “in base alla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza Onu” e “non è mai avvenuto”.
Ma, ha sottolineato al-Akhbar, anche i libanesi chiedono la “piena attuazione” di quella risoluzione “su entrambi i lati del confine libanese-israeliano” perché “obblighi e oneri imposti al Libano non sono inferiori a quelli imposti a Israele”. Secondo il Jerusalem Post, “le opzioni per Israele sono limitate” o l’ “attacco preventivo” che sarebbe però “percepito come un’aggressione israeliana non provocata” o “la strategia che Israele ha adottato attualmente, ovvero attendere che americani e francesi portino una soluzione politica” anche se Idf e gabinetto di guerra israeliano ritengono che “Hezbollah non cambierà”. Il giornale, che stima in 100.000 gli sfollati delle comunità nel nord di Israele, non esclude la creazione di una “zona di sicurezza” all’interno del territorio israeliano.
“E’ iniziato il countdown per la guerra in Libano?”, ha titolato ieri il quotidiano panarabo Asharq Al-Awsat, parlando di quella che considera una “pericolosa escalation di operazioni militari sul fronte sud del Libano, con raid israeliani che hanno colpito obiettivi a circa 40 chilometri dal confine”. E stando al giornale, sostenitori di Hezbollah ritengono che “la proposta Usa equivalga a un golpe che elimina tutto ciò che la resistenza ha ottenuto”.
Sul terreno questa settimana i militari israeliani hanno effettuato una serie di attacchi contro obiettivi di Hezbollah in profondità nel sud del Libano. Secondo la tv degli Hezbollah al-Manar, 30 missili hanno colpito la zona di Wadi Saluki, un fatto che il Washington Post descrive come la prima escalation dall’inizio del conflitto lo scorso ottobre dopo il terribile attacco del 7 ottobre in Israele. Da Israele hanno parlato di “uno dei maggiori attacchi dall’inizio della guerra”.
Da quel 7 ottobre gli Hezbollah libanesi hanno lanciato più attacchi oltre confine, anche se si ritiene che si siano astenuti da ostilità ‘totali’. Il 2 gennaio è stato ucciso in un raid a Beirut – in una zona considerata una roccaforte di Hezbollah – un esponente di Hamas, Saleh al-Arouri. Il giorno successivo il leader degli Hezbollah, Hasan Nasrallah, ha minacciato una “risposta” e una “punizione”. Così – secondo Rym Momtaz dell’International Institute for Strategic Studies (Iiss) citato dal Washington Post – Hezbollah deve probabilmente affrontare il pressing per rispondere, ma deve anche tener conto della situazione economica precaria del Libano, colpito da una grave crisi finanziaria. “Gran parte della popolazione libanese non può nemmeno immaginare di affrontare un’altra guerra – ha detto – visto quello che sta già passando in questo momento”.