(Adnkronos) – Senza immagini, senza testimonianze dirette, un’invasione al buio. L’offensiva di Israele contro Hamas è una guerra senza notizie, senza informazione che non sia di seconda mano, riportata da una fonte sola che racconta quello che ritiene utile raccontare. A Gaza sono interrotte le comunicazioni, nessuno che non sia un soldato israeliano entra o esce e nessuno può raccontare quello che succede.
Gli aerei bombardano, le truppe combattono sul terreno, si scappa, si sopravvive o si muore in uno spazio che in questo momento, ancora più che in passato, è ermeticamente chiuso. Non hanno più contatti le organizzazioni internazionali, sono tagliati fuori i media, le intelligence di tutto il mondo cercano di tenere in piedi i pochi contatti che restano. Anche la propaganda di Hamas è ridotta a qualche messaggio sommario, rimasticato da una leadership al sicuro in Paesi amici. Il black out della comunicazione, possibile solo in un’area completamente gestita dall’esterno, accompagna un’operazione che ha un gigantesco prezzo in termini di vite umane.
Si è improvvisamente fermato, a Gaza, il flusso continuo di informazioni, immagini, video, parole che da anni ormai attraverso i social network e tutti gli altri canali di informazione accompagnano qualsiasi guerra, evento, fatto che avvenga nel mondo. Fatta eccezione, ma non nella versione integrale di queste ore, per i buchi di informazione delle aree delle guerre dimenticate in luoghi meno sensibili all’attenzione occidentale.
Un passaggio così rilevante della storia, nel cuore del Medio Oriente, sta avvenendo in un buco nero. E quello che resterà, quando il blackout sarà finito, sarà uno spazio annientato, cancellato. Quello che riemergerà andrà rimesso insieme, ricostruito, dal punto di vista umanitario, materiale, culturale e politico. E per farlo sarà necessario anche riempire il vuoto totale di informazione di queste ore. (Di Fabio Insenga)