(Adnkronos) – Ben nota per la sua correlazione con danni cerebrali acuti come l’ictus, l’ipertensione si sta rivelando sempre più come un fattore di rischio anche per la demenza. Una ricerca nata da una collaborazione internazionale mette ora in evidenza quali strutture cerebrali vengono gradualmente danneggiate dalla pressione arteriosa elevata, fino a causare declino cognitivo. Lo studio che vede la partecipazione dell’Università di Edimburgo nel Regno Unito, l’Università di Cracovia in Polonia, il Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina Traslazionale dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia) e altre istituzioni scientifiche europee, è stato pubblicato sullo ‘European Heart Journal’.
I ricercatori – riporta una nota di Neuromed – hanno preso in esame circa 33mila esami di Risonanza magnetica nucleare di persone inserite nel grande studio epidemiologico UK Biobank, ai quali è stato affiancato un gruppo di individui, ipertesi e non, reclutati nel Neuromed di Pozzilli. Oltre alle risonanze magnetiche, analizzate mediante tecniche avanzate capaci di caratterizzarne ognuna con quasi quattromila differenti misure, tutti erano stati sottoposti alla misurazione della pressione arteriosa ed a test cognitivi. Analisi statistiche avanzate, che hanno tenuto conto di molteplici fattori, tra cui anche quelli genetici, sono state quindi eseguite sui dati raccolti.
“Il nostro – spiega l’ingegnere Lorenzo Carnevale, ricercatore del dipartimento di Angiocardioneurologia e medicina traslazionale presso Neuromed e uno dei principali autori dello studio – è stato un approccio ‘triangolare’. I vertici del triangolo sono costituiti da pressione arteriosa, analisi avanzate delle immagini delle risonanze e test cognitivi. In questo modo abbiamo potuto stabilire correlazioni che mettono in evidenza come, in presenza di ipertensione, alcune caratteristiche alterazioni cerebrali, misurabili nelle risonanze, possono spiegare la comparsa di decadimento cognitivo nei pazienti”. È importante, evidenzia Carnevale “notare che questo non è un semplice lavoro di associazione, ma utilizza una tecnica denominata “randomizzazione mendeliana” che sfrutta le informazioni genetiche dei soggetti inclusi nello studio per identificare un nesso causale tra la pressione arteriosa, il danno cerebrale e le funzioni cognitive. E bisogna sottolineare come i dati ottenuti dalla UK Biobank abbiano trovato riscontro nella popolazione reclutata presso il nostro ospedale in Molise”.
I danni causati dall’ipertensione – rivela lo studio – sembrano colpire soprattutto i sistemi di connessione tra le varie aree cerebrali, sia a livello della sostanza bianca (le fibre assonali che mettono in comunicazione i neuroni) sia in quelle strutture nervose destinate proprio a gestire le comunicazioni tra aree diverse. E questo spiegherebbe la progressiva perdita di funzione cognitiva in alcuni pazienti.
“I risultati di questo studio sono importanti a più livelli – commenta Giuseppe Lembo, professore di Scienze tecniche e mediche applicate all’Università degli Studi La Sapienza di Roma e direttore del dipartimento di Angiocardioneurologia e medicina traslazionale dell’Irccs Neuromed -. Prima di tutto ci dicono che il cervello deve sempre più essere considerato un ‘organo bersaglio’ dell’ipertensione, non solo per eventi come l’ictus cerebrale ma anche per quei danni subdoli e progressivi che, portando alla demenza, incidono in maniera rilevante sulla qualità della vita dei pazienti e portano con sé enormi costi sociali. Inoltre, abbiamo dimostrato l’esistenza di un danno cerebrale ascrivibile ai livelli di pressione arteriosa e ne abbiamo identificato le specifiche caratteristiche che possiamo valutare mediante analisi di risonanza magnetica avanzate”.
In futuro, quindi, “potremmo focalizzarci su queste strutture per prevedere il rischio di danni cognitivi in pazienti ipertesi. Infine, questi dati potranno essere cruciali per una fase successiva di questi studi, già intrapresa nella nostra struttura e supportata da un importante finanziamento del Ministero della Salute: studiare le attuali terapie farmacologiche con l’obiettivo di ottenere, oltre a un buon controllo della pressione arteriosa, anche la prevenzione del danno cerebrale e del declino cognitivo ad essa associato”, conclude.