L’uso dei trojan “richiede un ripensamento e un’attenta riflessione, perché per come oggi è disciplinato incide troppo invasivamente sulla vita privata di tutti i cittadini, ledendo la riservatezza delle comunicazioni personali sancita dall’articolo 15 della Carta costituzionale. E’ assolutamente necessario trovare un nuovo e più equilibrato bilanciamento tra i valori costituzionali che vengono in rilievo, potenziando i limiti giuridici all’uso del trojan; il suo utilizzo deve essere assolutamente eccezionale. Oggi la segretezza delle comunicazioni rischia di essere gravemente compromessa e nessuno, pur non avendo commesso illeciti, può escludere di non essere intercettato. Gli stessi giustizialisti sono i primi ad esserne consapevoli e ne subiscono le conseguenze”. Così il costituzionalista Francesco Saverio Marini, professore di Diritto pubblico all’Università di Roma Tor Vergata, che all’Adnkronos individua i punti essenziali su cui a suo giudizio è necessario intervenire dal punto di vista normativo.
Tra gli interventi, Marini indica in primo luogo la necessità che siano rideterminati i reati per i quali è possibile ricorrere alla micro-spia: “Una cosa è intercettare nell’ambito di reati di mafia o terrorismo internazionale, un’altra estendere a quelli contro la Pubblica amministrazione anche a titolo colposo, non doloso, includendo anche i meri incaricati di pubblico servizio”. Con che conseguenza? “Che io semplice cittadino – risponde – potrei incappare senza saperlo nel trojan inserito sul telefono di un dipendente della pubblica amministrazione”.
In secondo luogo, secondo il costituzionalista, “va limitata la possibilità d’uso di questi strumenti, che vanno utilizzati solo per il fine per il quale sono stati autorizzati. Non in modo indiscriminato, ma circoscritto a situazioni di luogo e tempo. Vanno, poi, ampliate le garanzie processuali, prevedendo il coinvolgimento di un organo collegiale. Più in generale – prosegue – nella prassi si incorre talvolta in un errore di fondo sullo strumento: il trojan dovrebbe, infatti, essere un mezzo solo di conferma delle indagini, cioè degli indizi che già individuano una colpevolezza, non di ricerca nuovi reati”.
In terzo luogo, che accade nell’ipotesi in cui il magistrato autorizzi l’uso del trojan al di fuori di quanto previsto dall’ordinamento, ad esempio nel caso in cui non ci siano indizi sufficienti? “Qui ci ricolleghiamo alla responsabilità dei magistrati – risponde il giurista – Rispetto all’uso del trojan sarebbe necessario un approccio più garantista dato che si incide sui diritti fondamentali della persona. Tra l’altro andrebbero risarciti effettivamente i soggetti oggetto di intercettazioni e che poi vengono assolti. Mentre l’ordinamento oggi non garantisce un risarcimento adeguato, che dovrebbe consistere non solo in un totale ristoro delle spese di giustizia, ma anche di tutti gli effetti dannosi all’immagine e personali che l’uso del trojan ha prodotto”.
Tra l’altro, afferma il professore di Tor Vergata, “l
o Stato si deve assumere la responsabilità, in termini di costo vivo e diretto, dei danni gravissimi che può provocare a soggetti privati, anche attraverso la diffusione di informazioni riservate a mezzo stampa. Solitamente, non dovrebbe essere il giornalista che deve garantire il risarcimento, perché il suo mestiere è proprio quello di diffondere la notizia e di informare, ma lo Stato che deve assumersi l’onere economico del perseguimento dei reati, nel quale non può non rientrare anche il risarcimento integrale a chi è stato incolpevolmente danneggiato”.
(di Roberta Lanzara)