La produzione industriale continua a ‘vacillare’, del resto, con la crisi che stiamo vivendo è il minimo che ci potessimo aspettare. Ma l’Istat fa il suo mestiere, ed è tornata a ricordarcelo stamane, spiegando che, rispetto al mese prima, a marzo il calo è stato del 28,4%. Questo sta a significare che, ovviamente corretto per gli effetti di calendario (numero di gironi lavorativi), l’indice complessivo è diminuito del 29,3% su base annua.
Nell’illustrare le sue rilevazioni, l’Istat ha spiegato che “vi è stata una moderata riduzione del tasso di risposta delle imprese, conseguente all’emergenza sanitaria in corso ma, le azioni messe in atto per fare fronte a queste perturbazioni nella fase di raccolta dei dati, hanno consentito di elaborare e diffondere gli indici relativi al mese di marzo 2020”.
Un calo che tocca tutti settori, condizionando non poco l’indice destagionalizzato, che incide così negativamente in primis sui beni strumentali (-39,9%), quindi su quelli intermedi (-27,3%) e, infine, sui beni di consumo (-27,2%), con l’energia che ha subito un calo del e l’energia 10,1%.
Mediamente, se rapportato al primo trimestre 2020, rispetto ai tre mesi precedenti il livello destagionalizzato della produzione cala dell’8,4%.
Nello specifico l’Istituto di Ricerca deve così ricorrere al termine “crollo”, per segnalare una diminuzione che ci riporta fino al 1990. Un contesto preoccupante dove, come dicevamo, nessun settore produttivo ne è risparmiato anzi, in taluni casi gli effetti della caduta congiunturale e di quella tendenziale supera abbondantemente il 50%.
A pagare maggiormente sono le industrie impegnate sui mezzi di trasporto (-52,6%), quelle tessili, di abbigliamento, pelli ed accessori (-51,2%), dei macchinari e attrezzature n.c.a. (-40,1%), e della metallurgia in generale (-37,0%). Va un pochino meglio laddove l’industrializzazione si adopera per beni di consumo, gli alimentari, bevande e tabacco, che si fermano ad un comunque negativo -6,5%.
Max