La polizia indonesiana ha accusato una popolare disc jockey di atti pornografici per aver inscenato, in strada da sola, una protesta contro il lockdown imposto per contrastare la pandemia di Covid, indossando un bikini. Dinar Candy, indossando un costume da bagno a due pezzi rosso, è scesa in strada a Jakarta brandendo un cartello in cui si leggeva: “Sono stressata perché il Ppkm è stato prolungato”. Ppkm è l’acronimo in Bahasa, la lingua franca indonesiana, per il lockdown.
Il portavoce della polizia della capitale, Yusri Yunus, ha detto che Candy è stata accusata in base alla legge sulla pornografia, che prevede pene fino a 10 anni di prigione. “Sarà sottoposta a test psichiatrico, ma non è stata arrestata. E’ in sospeso la questione dei testimoni”, ha spiegato.
Dinar Candy, celebre in patria per la sua propensione ad indossare abiti succinti, ha esortato i follower a non seguire il suo esempio: “Stavo solo spiegando perché sono stressata”, ha scritto su Instagram.
L’Indonesia ha imposto un lockdown parziale il 9 luglio, tra contagi record sulle isole di Giava e di Bali, dove vive più della metà dei 270 mln di indonesiani.
Le misure sono state prorogate ancora una volta lunedì scorso. Oggi l’Indonesia ha registrato quasi 49mila nuovi casi, cosa che porta il numero totale dei contagi sopra i 3,6 mln. Altri 1.635 morti nelle ultime 24 ore portano il bilancio totale a 104.010 vittime.
L’Indonesia è il primo Paese musulmano del mondo per popolazione, ma l’Islam nell’arcipelago per decenni è stato caratterizzato da una certa tolleranza e assenza di radicalismo, anche perché le anime più radicali venivano tenute a freno dai regimi di Sukarno prima (1959-66) e di Suharto (1966-1998) poi.
Dal 1998, con l’avvento della democrazia, le cose hanno iniziato a cambiare, con la proliferazione di gruppi più radicali e una grande espansione dei media islamisti.
La forza delle associazioni islamiste è diventata evidente nel 2017, quando il governatore di Jakarta, Basuki Tjahaja Purnama, detto Ahok, un cristiano, è stato condannato a due anni di carcere per blasfemia, per aver affermato in campagna elettorale che la gente si sbagliava se credeva che i musulmani non potessero votare un non musulmano. Per il tribunale, le parole di Ahok avevano “degradato e insultato” l’Islam.