La questione immigrazione in Italia “e’ un’emergenza creata ad arte, strumentalizzata dalla politica” che la brandisce “come fosse la bomba atomica ai tempi della guerra fredda: ’ce l’ho, me la tengo, minaccio di farla esplodere senza farlo mai’. Emergenza sostenuta dalla Ue con il progetto Frontex, gestioneo le polizie dei paesi dell’Unione ha eretto una ’fortezza Europa’. In realta’ i migranti presenti in Italia sono molti meno che negli altri paesi europei, ma questa piccola urgenza qui diventa un caso”. A parlare e’ Ascanio Celestini, in questi giorni, e fino al 20 ottobre, in scena al Teatro Vittoria di Roma, con i ’Discorsi alla Nazione’: una spietata analisi sociologica del potere e della tirannia, “che non e’ diversa dalla democrazia”, con i suoi cittadini-sudditi, prigionieri della paura dell’altro e preda di terribili solitudini interiori, ai limiti della disgregazione sociale. Secondo Celestini, che nei giorni scorsi e’ stato proprio a Lampedusa, l’emergenza immigrazione e’ dunque “un falso, utilizzato sia da quelli che dicono ’poverini dobbiamo aiutarli’, sia da chi grida ’rimandiamoli a casa!’”. Insomma – e’ l’analisi dell’attore – da una parte c’e’ l’Europa che si difende e dall’altra l’Italia che non fa nulla per risolvere un fenomeno del tutto gestibile con politiche adeguate. E sul voto di mercoledi’ scorso, in Commissione Giustizia del Senato, per l’abrogazione del reato di clandestinita’, commenta: “e’ un piccolo passo avanti ma piu’ che altro di tipo culturale, perche’ la gente che finisce in galera per questo reato e’ davvero poca”. “Un clandestino arrivato in Italia – sottolinea – rischia di passare piu’ di un anno in un Cie: a quel punto se viene identificato e’ rimandato indietro, cosa che accade per piu’ della meta’ delle persone, altrimenti gli si consegna un passaporto per la clandestinita’. Gli si dice cioe’ ’ora torna a casa’, sapendo che cio’ non accade mai, e che quel clandestino andra’ ad ingrossare le fila di una popolazione ombra: lavoratori da schiavizzare nei cantieri o da arruolare nella criminalita’ organizzata”. Insomma “il problema – conclude – non e’ il reato in se’ quanto l’uso della clandestinita’ per scopi propagandistici politici o per alimentare il mercato del lavoro nero”.