CALCIO

Il vento delle Bandiere sventola al tempo dello Special One

Se il calcio – come dice un’aforisma da bar – è della gente (ed è vero perché, dopotutto, è la gente che lo finanzia) altrettanto corretto è dire che di calcio più sa chi lo fa. Chi lo pratica. Specie, poi, se ad alto livello. Perché “chi sa solo di calcio non sa niente di calcio” (Mourinho docet), giusto: ma chi ha calcato i campi, i più prestigiosi, ed è stato magari un campione, ha vinto, perfino in modo quasi eroico delle volte, e in posti poco avvezzi ad alzar trofei, in genere, se non più autorizzato a parlar di calcio rispetto a chicchessia, sarà per definizione più titolato a farlo. La democrazia è quell’invenzione per cui chiunque può, nei limiti di regole e educazione, esprimersi su tutto: farlo con cognizione di causa è cosa ben diversa, però.

Nell’infinito alveo del tifo globale, Roma, piazza dai megafoni esemplari quanto a disparità di concetti, vede i ‘chiunque’ talvolta elevarsi a un livello di (presunta) importanza tali da immaginarsi come una scure sul capo di chi, in verità, ha decenni di vittorie da mettere sul piatto: fiches d’entrata di una sfida a poker in cui, puoi sempre vedere. E nel calcio si vede sempre, ben oltre le chiacchiere, chi vince o no.

Le bandiere giallorosse a difesa di Mou

E molti di quelli che sanno di calcio perché hanno (appunto) vinto e l’hanno fatto a Roma, quasi intonando un’univoca nenia collettiva, si sono espressi nello stesso modo nei riguardi di José Mourinho e la sua prima esperienza romana.
L’elenco è ormai noto: da Francesco Totti a Daniele De Rossi, passando per Fabio Capello e Carlo Ancelotti. Fino ad arrivare, più di recente, a Paulo Roberto Falcao.

Anche lui, il ‘divino‘ come lo si chiamava all’epoca della fantasmagorica Roma anni ’80 che vinse e strappò applausi in tutta Europa, si è schierato in modo netto a favore dello Special One.

Da Falcao a Totti: l’endorsement per lo Special One

In una recente intervista a La Gazzetta dello Sport, uno dei leader della Roma del secondo scudetto e senz’altro uno dei più amati dalla tifoseria, a domanda diretta, relativa alle critiche piovute di recente su Mourinho, ha risposto in modo tranciante. «Bisogna dare tempo a Mourinho di lavorare, perché è appena arrivato e non si può pretendere di vincere subito».

Tempo. Lo stesso tempo che Mourinho, la dirigenza giallorossa e tutti quelli che, conoscendo le cose di campo (e di Roma) vanno dicendo da “tempo”.
Un timbro importante l’ha dato Totti (“Se stiamo qui a criticare anche Mourinho, a dire che sia lui il problema della Roma, credo che abbiamo sbagliato tutto”), che ha ricordato come lo Special One “ha vinto più lui che tutti gli allenatori di Serie A messi insieme” e che anche per il ‘miglior allenatore del mondo’ per vincere, alla fin fine la “cosa primaria è una: servono i giocatori”.

Ma non l’ha toccata piano, come suo stile, nemmeno Daniele De Rossi: “Mourinho è uno dei 5-6 allenatori più forti di sempre, cerchiamo di non farlo stufare.”, ha detto, per poi aggiungere “non vorrei mettermi nei suoi panni.”

L’Olimpico sold out: chi è davvero impaziente?

Due delle bandiere più fulgide del romanismo che la pensano in modo identico, e anzi, chiedono di supportare lo Special One prima che si stufi. Basterebbe questo a legittimare qualcosa che, dopotutto, il cuore del tifo ha capito di per sé: prova ne sia il fatto che lo stadio Olimpico è sempre pieno, sold out, a prescindere dall’avversario o dal precedente risultato della Roma, anche in queste settimane plumbee di successi e sorrisi. Perché il pubblico romanista, in quanto romanista, sa cosa sia la Roma. Anche se lascia che in tanti, dentro o fuori dal raccordo, gliela raccontino, il romanista lo sa già. E sa aspettare, come ha dimostrato per decenni senza gioie e trofei. Allora chi è il vero impaziente?

Magari, il romanista lo sa. E conosce quello che Fabio Capello, anche lui, ha ricordato. Ovvero che “Mou è un grande allenatore”, che a sua volta “sta capendo la difficoltà di allenare a Roma: e io ne so qualcosa.”

Già. Capello, oggi inviso ad alcuni per il suo controverso addio ai giallorossi e il passaggio alla Juve, a Roma ha vinto uno scudetto. L’ultimo. Uno tra i pochi a vincere alle latitudini capitoline. Molti ricordano la formidabile rosa che aveva a disposizione, e quanto caracollante fu, all’inizio, il suo cammino, finché Sensi non gliela creò.

Come Ancelotti, da calciatore: un vincente, Carletto, ovunque sia andato, e eppure a inizio carriera (da coach) additato come perdente, e di recente a sua volta accantonato come bollito in un’altra piazza focosa (e impaziente) come Napoli. Salvo poi esser richiamato, dopo una breve parentesi inglese, dal Real Madrid. Dove di tempo non ce n’è mai e si pretende di vincere non oggi, ieri. Dove, stando a rumors, avrebbero richiamato Mou, se non si fosse accasato alla Roma il 4 Maggio scorso.
L’ha vissuta, Carletto, la piazza. E dice: “Mourinho è appena arrivato bisogna dargli tempo”.

Tempo. Maledetto tempo, come direbbe Totti. L’unico avversario che non si batte. Attenderlo, però, si può: sventolando (e ascoltando) le Bandiere. Come fanno in Curva Sud. Poi, il tempo, sempre lui, dirà come andrà. Ma, nel mentre, varrà o non varrà qualcosa ciò che una, due, tre, quattro o cinque grandi personalità vincenti nell’Urbe hanno da dire su chi, in quattro paesi diversi, con cinque squadre diverse, ha vinto ben 23 tituli? Anche su questo, si sa, è il tempo che ce lo dirà.