“Il teatro torna a essere un messaggio di speranza e di resistenza dellumanità che si oppone allorrore incombente della realtà. Il complesso delle riflessioni di Jouvet è particolarmente valido oggi, per significare soprattutto ai giovani la nobiltà del mestiere di recitare, che rischia di essere svilito in questi tempi confusi. Il teatro diventa in luogo in cui ci si perde per ritrovarsi”.
Così il rodato Tony Servillo, piacevolmente rinvigorito dal recitare (e, soprattutto, dirigere) sul palco, presenta Elvira, dove Brigitte Jaques rivisita il Louis Jouvet di Moliere e la commedia classica, in cartellone al Teatro Argentina fino al 2 giugno.
Con la duplice produzione del Piccolo di Milano e dei Teatri Uniti, al regista Servillo urge disegnare tinte ed atmosfere quasi claustrofobiche, visto i contesto bellico che fa da sfondo alla vicenda dove, quasi fosse una luce a se stante, si staglia la grazia della 23enne Petra Valentini, a sua volta illuminata dal suo mentore – a tutti gli effetti – che corrisponde a Servillo.
Allorigine il testo nasce dalle sette lezioni che Jouvet, mente tuttintorno imperversavano il terrore e lincertezza, propose a Parigi, agli studenti del Conservatorio Nazionale di Arte Drammatica. Le lezioni vennero tutte puntualmente – e con grande precisione – stenografate da una giovane la quale, ebrea, venne arrestata e deportata nellinferno di Auschwitz, dal quale ne uscì per miracolo.
Nella Parigi del 1940 infatti vanno avanti le prove per il Don Giovanni di Moliere, offuscato dallavanzata delle truppe tedesche. La giovane attrice è ebrea e non salirà mai sul palco, ma il professore coglierà loccasione per trasformare sia lansia che il terrore in una convincente recita
Max