Ormai lo dicono più o meno apertamente tutti, esponenti di governo, sindacalisti e virologi: il famigerato Green pass, diventato nelle ultime settimane sempre più determinante per la quotidianità di ognuno di noi e dal 15 ottobre necessario anche per poter lavorare, è soprattutto un espediente per indurre le persone a vaccinarsi ed evitare al Governo di rendere obbligatorio un trattamento sanitario che evidentemente esporrebbe l’esecutivo – e di riflesso le case farmaceutiche – ad una generale e completa assunzione di responsabilità. Ebbene, questo modus operandi non propriamente etico e soprattutto rispettoso di uno stato di diritto sta almeno dando buoni frutti? Assolutamente no: e a dirlo è uno degli istituti che da mesi monitora l’andamento dell’epidemia e di quanto è correlato.
L’indagine di Fondazione Gimbe: boom di tamponi
A quasi due mesi dall’inizio di questa misura di accerchiamento nei confronti dei cittadini non vaccinati, il lasciapassare verde sta facendo volare soprattutto il ricorso ai tamponi mentre non starebbe affatto trainando le prenotazioni vaccinali. La fonte è autorevole: quella Fondazione Gimbe che dall’inizio di pandemia inonda l’opinione pubblica di dati e percentuali su contagi, morti, guarigioni, vaccinazioni contribuendo così ad alimentare quel clima di panico e confusione che da mesi disorienta milioni di italiani. E secondo l’istituto bolognese, l’impatto della contestata misura è stato molto evidente sulle richieste di test rapidi fin dal 6 agosto, quando entrarono in vigore le prime restrizioni soprattutto per locali e ristoranti: la media mobile a 7 giorni dei test antigenici è aumentata in un mese del 57,7%, passando da 113 mila (6 agosto) a 178 mila (7 settembre) per poi stabilizzarsi. Insomma, una vera e propria impennata mentre, per quanto riguarda i nuovi vaccinati, i ricercatori ammettono che l’effetto green pass non si è quasi visto: a parte un lieve rialzo dopo il 6 agosto, le prime dosi giornaliere sono crollate, con il minimo di 66mila toccato il 17 settembre. Una timida risalita c’è stata negli ultimi giorni, probabilmente in coincidenza con l’estensione dell’obbligo del passaporto vaccinale anche sui luoghi di lavoro: ma, certo, non c’è stata la corsa all’inoculazione che molti nel Governo auspicavano. Dati alla mano: nell’ultima settimana le somministrazioni sono aumentate del 4,1%, mentre il numero di nuovi vaccinati settimanali, dopo aver raggiunto il minimo di 488mila due settimane fa, è risalito del 19,8% attestandosi a quota 585mila nell’ultima settimana.
Con gli indecisi una partita persa?
Il bilancio dunque non pare al momento entusiasmante: “La progressiva estensione del green pass – ha dichiarato il presidente di Gimbe, Nino Cartabellotta – ha ottenuto un effetto molto netto in termini di testing della popolazione, contribuendo a ridurre la circolazione del virus, ma sinora non ha prodotto nessuna impennata nella curva dei nuovi vaccinati. Considerato che almeno 5 milioni di persone non vaccinate sono in età lavorativa, la prova del nove per valutare l’efficacia della ‘spinta gentile’ arriverà intorno al 15 ottobre, data di decorrenza dell’obbligo del green pass per dipendenti pubblici e privati”. E mentre i dati della Fondazione, così come quelli del’Istituto Superiore di Sanità, confermano un beneaugurante calo dei contagi e dei ricoveri (ma qui gli esperti si dividono nel momento di provare a spiegarne il motivo: è merito davvero del vaccino o di una variante – la famigerata Delta – più contagiosa ma comunque meno letale, come rivelano molti studi) resta da capire che ne sarà degli 8,3 milioni di cittadini che non hanno fatto neppure una dose del siero vaccinale: è convinzione infatti di molti esperti che difficilmente cambieranno idea a questo punto. Con buona pace di un Governo che, dopo aver sbagliato a gestire la pandemia, ora rischia di fallire anche gli obiettivi che si era prefissato con la strategia vaccinale.