Il caso Khasoggi fa ‘il deserto’ al meeting di Riad

    Il caso Khasoggi, il giornalista dissidente saudita ucciso e smembrato all’interno dell’ambasciata del suo Paese ad Istambul, Turchia, sta avendo un eco internazionale. Non solo gli Stati Uniti, Paese che aveva dato asilo al giornalista, si sono mossi per avere chiarimenti sulla vicenda, ma anche le altre super potenze mondiali hanno deciso di disertare la Future Investment Initiative, o come ribattezzata dai media americano la Davos del deserto, con cui il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed Bin Salman presenterà al mondo il processo di crescita che sta intraprendendo il suo Paese. L’Arabia Saudita è pronta ad accogliere capitale straniero, a cogliere le opportunità presenti, in un Paese che pratica un Islam moderato ed amica delle tecnologie. Le immagini inerenti al caso Khasoggi sembrano appartenere al passato remoto rispetto alla conferenza che si terrà questa mattina a Riad. Tra i dissidenti che non prenderanno parte al meeting, proprio perché toccati dalla morte del giornalista, vi sono il segretario al Tesoro Usa Steven Munchin e la presidente del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde. Non parteciperanno neanche Richard Branson, il fondatore di Virgin che con i sauditi stava stringendo accordi miliardari, né Dara Khosrowshahi, amministratore delegato di Uber, per cui il fondo di investimento saudita PIF rappresenta il maggiore investitore privato. Tantomeno ci saranno gli amministratori dei più importanti conglomerati industriali, nè i gestori dei principali fondi di investimento mondiali che un anno fa facevano la fila per stringere la mano al principe saudita. Sotto il segno di Khashoggi si sono avviati i primi incontri. Lubna Olayan, la più celebre donna d’affari dell’Emirato e una delle donne più ricche del mondo, si è espressa sulla vicenda: “Come cittadina saudita voglio dire che i terribili atti di cui si parla in questi giorni sono alieni alla nostra cultura e al nostro Dna. Sono fiduciosa che con l’aiuto del governo e delle autorità la verità verrà fuori”. Uno stratagemma per scacciare il fantasma che aleggia fra le sale del Ritz Carlton e fra gli ospiti, presenti a Riad. Ieri sulla traballante FII sono arrivati le ultime sberle, simboliche forse, ma non per questo non meno importanti: la città svizzera di Davos, sede dell’annuale Forum economico mondiale, ha voluto che il suo nome non venga utilizzato per soprannominare la conferenza saudita, rifiutando ogni associazione con il regno arabo. E un gruppo di pirati del web ha hackerato il sito della FII, postando un’immagine di Bin Salman con la bandiera dell’Isis alle spalle mentre si prepara a decapitare Jamal Khashoggi: un fotomontaggio che riprende con accuratezza le immagini di brutali esecuzoni diffuse dalla rete dallo Stato islamico. Così questa mattina l’ospite d’onore sarà il primo ministro pachistano Imran Khan, che prima di lasciare Islamabad si è voluto giustificare con la stampa spiegando che il suo Paese è “disperato” e ha bisogno degli investimenti sauditi per risollevare l’economia. A riempire gli spazi lasciati liberi da americani ed europei, ci saranno tanti asiatici e africani, richiamati all’ordine dai petroldollari di Riad: i sauditi hanno fatto di tutto per non annullare l’evento, a cui il principe ha legato a filo doppio il suo nome e la sua reputazione. Proprio a Mohammed Bin Salman è legata la maggiore incognita. L’uomo a cui l’opinione pubblica mondiale, sulla base di prove sapientemente distillate dai turchi, reputa il mandante della morte di Jamal Khashoggi apparirà in pubblico oggi? Analisti e diplomatici sono pronti a scommettere di sì: la sua assenza sarebbe una prova di debolezza e Mbs, sotto il tiro incrociato della stampa e della cancellerie occidentali, adesso non può’ permettersela.