“Nella sentenza il giudice comprende l’utilizzo di vivisezione come sinonimo di ricerca sugli animali ma non più come insulto rivolto a persone che fanno il loro lavoro”. E il vicepresidente di Pro-Test Italia (associazione di studenti e ricercatori che ha come fine la tutela della ricerca biomedica italiana), Dario Parazzoli, a spiegare le ultime in termini di invettive che da decenni regolamentano il burrascoso rapporto tra ricercatori ed animalisti. Dunque: ricercatori in cerca di nuove cure, e non più vivisettori. Da oggi infatti, dopo decenni di guerre ed uso improprio, l’uso del termine ’vivisezione’ per apostrofare dispregiativamente la pratica della sperimentazione animale è ora legalmente considerato diffamazione. Lo ha stabilito la scorsa settimana una sentenza della Cassazione della settimana scorsa, a carico della promotrice di un sito internet contro lutilizzo degli animali a scopo scientifico, che aveva utilizzato il termine ’vivisettori’ con chiara connotazione invettiva per definire i ricercatori di un istituto in cui vengono impiegati animali per esperimenti scientifici. La responsabile del sito aveva infatti comparato la ricerca scientifica alla stregua in termini dispregiativi – della ’vivisezione’, dipingendola come pratica cruenta e inutile. “Niente di più lontano dalla realtà ha tenuto a chiarire il presidente di Pro-Test Italia – Negli ultimi decenni, anche per la deprecabile pratica di dare più voce a chi polemizza e urla rispetto a chi costruisce e lavora, è entrato nel lessico del mondo dell’informazione e della società questo termine intrinsecamente dispregiativo, con tutte le sue derivazioni come vivisettore, per indicare chi lavora per la ricerca e che di fatto impiega la sua vita nella ricerca di cure di malattie gravi come la Sla, l’Alzheimer e migliaia di malattie rare. Quello che non si dice è che la sperimentazione animale è un male necessario per la scoperta di nuovi farmaci efficaci ma anche sicuri. E che quasi il 90% delle cavie usate in laboratorio è formata da topi, mentre i cani sono lo 0,10% e le scimmie lo 0,06%. Inoltre aggiunge ancora Parazzoli – la legge italiana è la più restrittiva nel tutelare il benessere animale. Il problema, forse, è che il mondo della scienza è rimasto in silenzio per troppo tempo e non ha spiegato le sue ragioni. Bisogna dire con chiarezza che le alternative di cui si parla al momento non sono realtà, e che per trovare nuove cure occorre il passaggio sugli animali. Sottovalutare questo, o non citarlo quando si descrivono nuove scoperte, può forse indurre a sottovalutare i trial sull’animale”. Chiarificazioni per le quali il vicepresidente di Pro-Test Italia, chiede aiuto ai media: “Ci appelliamo alla sensibilità professionale di chi lavora in campo giornalistico, ma anche politico, chiedendo uno sforzo nel trattare i lavoratori di uno dei settori più strategici dell’economia italiana con il giusto rispetto, utilizzando per lo meno la corretta terminologia”.
M.