(Adnkronos) – “Voi giornalisti da 7 anni a questa parte ci chiedete qual è il segreto dei centenari sardi. Il Dna può pesare per circa il 20-25%. Poi c’è l’alimentazione e quanto influisce questa voce è quello che vogliamo stabilire da un punto di vista scientifico. Ci sono anche gli stili di vita: possiamo assicurare che i nostri centenari campano bene anche perché, oltre al Dna e alla dieta, hanno l’affetto di tutti noi. Sono coccolati”. La genetica, i prodotti di una terra ‘benedetta’ dalla natura, una fitta rete sociale: è il perimetro che racchiude i segreti di lunga vita di una delle Blue Zone del pianeta, l’Ogliastra.
I suoi cittadini hanno ingaggiato una lunga battaglia giuridica per ‘blindare’ un patrimonio: i campioni genetici e le informazioni della famosa Banca dei centenari, che era stata venduta all’asta e rischiava di finire in mano a una company privata britannica. Oggi “siamo noi i custodi del nostro sangue e vogliamo iniziare a studiarlo”. Missione: esportare la longevità. Almeno la componente che può essere condivisa, finendo sulle tavole di chi vive fuori dai confini sardi, spiega all’Adnkronos Salute Flavio Cabitza, presidente dell’Associazione per la tutela dell’identità ogliastrina e della Barbagia di Seulo.
In queste vesti, è lui sulla carta il custode del Dna dei centenari, che viene al momento ospitato a titolo gratuito nei locali dell’università di Sassari. Intanto, l’associazione lavora a progetti di studio. Uno in cantiere, che potrebbe a brevissimo essere varato, verrebbe condotto con l’università di Cagliari. L’idea è di andare a studiare – su campioni che verrebbero presi negli ossari del territorio – i batteri orali e il microbioma dei centenari e poi testare in laboratorio quanto raccolto con vari alimenti dell’area. Un’area ricca di prodotti: “Olio, vino Cannonau – cita Cabitza – ma penso anche alle pere di San Giovanni, che nascono sui campi non coltivati, ed è stato osservato che hanno capacità antistress per le cellule di bocca e gengive e mantengono i batteri in equilibrio. C’è poi il lentisco, pianta sempreverde con le bacche rosse, che è un antibatterico per eccellenza per il cavo orale. I nostri antichi queste cose le sapevano già, per esempio quando avevano mal di denti masticavano il lentisco. Noi vogliamo una validazione scientifica”.
“Se l’alimentazione sarda ottenesse questo ‘bollino blu’, venendo correlata alla longevità – ragiona Cabitza – vorremmo che anche chi non vive in Sardegna possa beneficiarne. Mangiando sardo anche a Milano, per dire. Ha fatto qualcosa di simile anche un’altra Blue Zone, l’isola di Okinawa in Giappone: uno studio pubblicato su riviste scientifiche specializzate ha dimostrato nei topi che le patate dolci”, protagoniste della dieta dei loro centenari, “allungavano la vita” dei modelli animali osservati. “Noi vogliamo arrivare a questo traguardo. Il nostro sangue, il nostro Dna, devono servire per dimostrare il ruolo della dieta sardo-mediterranea nella longevità, il suo valore”.
Per il progetto che si concentra sui batteri orali e sul microbioma si metterebbero in campo “circa 100mila euro”. Sono una parte “dell’unico finanziamento di 200mila euro ottenuto finora dallo Stato nell’ultima manovra finanziaria”, spiega Cabitza. Perché per questo patrimonio “unico al mondo” il problema adesso “sono i fondi”. Messa insieme da SharDna, l’azienda che poi è fallita, “la nostra banca dati ha i campioni biologici e le informazioni su malattie, regime alimentare e altri dati importanti. E ha anche l’albero genealogico fino al 1540 di ogni ogliastrino che ha donato il sangue, in tutto 11.700 persone, distribuite in dieci paesi. In una zona in cui l’aspettativa di vita per l’uomo e la donna sono identiche. I ricercatori che volessero avviare studi avrebbero quindi a disposizione una miniera preziosa”.
C’era sul tavolo anche un altro progetto al quale avrebbe collaborato il King’s College London, che prevedeva uno studio da condurre sui gemelli omozigoti, somministrando a un fratello una ‘dieta ogliastrina’, mentre l’altro avrebbe continuato con l’alimentazione di sempre. Obiettivo verificarne i risultati di salute. “Il progetto però al momento è in stand by. Quando lo presentammo – evidenzia Cabitza – la Regione ci stava finanziando con 750 mila euro, ma abbiamo rinunciato a quei fondi perché volevano la maggioranza della Fondazione. Speriamo che Solinas torni sulle sue decisioni, perché questi 750mila euro sono stati approvati nel 2021, ma sono fermi. E sarebbero importanti per consentirci di potere avanti la nostra missione scientifica”.