Con il petto schiacciato sull’asfalto l’ultimo soffio di fiato lo ha usato per pregare di lasciarlo vivere. Lo sentiva che stava morendo. Con il collo appiccicato all’asfalto, premuto da un ginocchio che non voleva saperne di mollare la presa la vita stava sfuggendo via col passare dei secondi. Una morsa tenace, testarda, cattiva. George Floyd urlava ma nessuno lo ascoltava.
“I can’t breathe’, non riesco a respirare, ha ripetuto più volte. Mi state uccidendo, ha implorato. Preghiere vane di fronte a quel ginocchio che non si è mai alzato. Lo ha inchiodato al suolo, gli ha tolto il respiro e lo ha ucciso. È morto poco dopo in ospedale George Floyd, mentre il suo omicidio si è consumato su una strada trafficata, ripreso con i cellulari da alcuni passanti.
Una morte che ha scosso l’America, che ha posto gli americani di fronte al ciclico dilemma di quanto sia radicato il razzismo all’intero dell’ecosistema statunitense. Così il grido di sdegno si è alzato in ogni dove, dando vita a vere e proprie rivolte. In piazza e sui social. Alle prime hanno preso parte i cittadini stufi di episodi del genere. Con la voce grossa sono scesi in campo i vip.
Da LeBron James a Madonna, passando per molti esponenti del mondo dello spettacolo e dello sport. Tutti uniti nel condannare l’episodio di violenza che ha portato via George Floyd. Rimasto a terra senza fiato, mentre urlava I can’t breathe, non riesco a respirare. Ma nessuno lo ha ascoltato, mentre tutti hanno visto.