Nato nel 1908 Henri Cartier-Bresson è oggi considerato esponente del foto-giornalismo, tanto da essere definito ’’occhio del secolo’’. Di stampo surrealista, ispirato a Eugène Atget, la sua fotografia riesce a richiamare un ampio pubblico grazie alla capacità di catturare l’istante decisivo di un’intera azione. Ha una profondità d’immagine che rapisce.
La mostra è allestita presso il Museo dell’Ara Pacis (Rm) dal 26/09/2014 al 25/01/2015 è proveniente dal Centre Pompidou di Parigi, in occasione dei 10 anni dalla scomparsa del fotografo permette di vedere 400 scatti significativi dell’artista. Ripercorre la vita del fotografo attraverso le tematiche dei suoi scatti, seguendo un senso più o meno cronologico. Il surrealismo diviene sua caratteristica. Oggetti impacchettati, corpi deformati, sognatori ad occhi chiusi, predisposizione ad accogliere il caso queste le caratteristiche, legate al surrealismo, di Bresson. Tramite le sue foto vuole rovesciare le convenzioni sociali. Non decide quali saranno i suoi soggetti, lascia il compito alla pura casualità. Così come non mette li mette in posa, ma li aspetta, seguendo le loro mosse quotidiane, cercando l’istante decisivo. Il più grande esempio è la foto intitolata ’’Dietro la stazione Saint-Lazare’’, Parigi, 1932. La foto ritrae un uomo un attimo prima che quest’ultimo metta il piede su una strada allagata. La posizione assunta dall’uomo, casualmente, richiama quella del poster alle spalle del passante, raffigurante una ballerina.
Contrariamente ad altri fotografi suoi contemporanei, il suo interesse è rivolto alla gente di strada. Non fotografa gli usi locali, non si dedica a quello che viene definito ’Esotismo’, ovvero l’ esaltazioni di luoghi lontani. Bresson vuole esaltare il ritmo della vita africana.
Seguendo il percorso fotografico di trovano una serie di foto che permetto di capire un’altra delle caratteristiche di Bresson: l’Esplosivo fisso. Etichetta che suggerisce come in una fotografia vengono immortalate immagini fisse che sembrano in movimento.
Non manca, dato il periodo storico in cui si trova a vivere, quello tra il primo dopoguerra e la fine del ’900, una finestra sulla politica e sull’impegno militante. Raffigura, ancora una volta, il volto della povertà. Non più sognatori ad occhi aperti, ma uomini senza speranza, mendicanti. In questo periodo l’iconografia è più documentaria, è sociale.
Tramite le fotografie fa comprendere come il capitalismo privilegia alcuni e rilega a margine della società i meno fortunati. Immagina il rovesciamento del potere, ed è questo che da alle immagine il loro valore rivoluzionario.
E’ negli anni ’70 che Bresson torna alle origini, alla matita. Ricomincia a disegnare, e molti delle opere sono autoritratti. Nel ’75, con l’avvio, ormai consolidato, dell’era industrializzata, delle macchine, Bresson si interessa al rapporto uomo-macchina. Si diverte a rappresentare l’uomo come un ibrido.
Con il termine del percorso della mostra, si arriva al termine della sua opera.Un Brresson ormai anziano che si riflette nelle sue fotografie, eseguite contemplando. Sono posate, non focalizzate sull’attimo, ma sul significato dell’azione totale.